Sono sette le associazioni, oltre al Comune di Palermo, ammesse come parti civili al processo per lo stupro di gruppo della 19enne palermitana violentata al Foro Italico di Palermo a luglio dell’anno scorso. Lo ha deciso il gup Cristina Lo Bue nel corso dell’udienza preliminare, ancora in corso, a porte chiuse a carico di sei imputati, un settimo ragazzo indagato, che all’epoca dei fatti era ancora minore, è già stato condannato. Degli abusi sono accusati Angelo Flores, Cristian Barone, Gabriele Di Trapani, Christian Maronia, Samuele La Grassa, Elio Arnao, tutti in carcere. In due hanno rinunciato a partecipare all’udienza.
Le associazioni che hanno chiesto di costituirsi parte civile e che sono state ammesse sono: Associazione Millecolori onlus, rappresentata dall’avvocato Federica Prestidonato, associazione nazionale Donne in rete contro la violenza, rappresentata dall’avvocato Elvira Rotigliano, Associazione Le Onde, rappresentata dall’avvocato Maddalena Giardina, Biblioteca delle Donne centro di consulenza, sempre con avvocato Maddalena Giardina. E ancora: Associazione Insieme a Marianna Aps con l’avvocato Alessandra Inguaggiato, l’associazione contro tutte le violenze, rappresentata dall’avvocato Cinzia Manzella e l’associazione femminile La Casa di Venere con l’avvocato Roberta Anselmi. Ammesso come parte civile anche il Comune di Palermo rappresentato dall’avvocato Roberta Saetta.
Escluse, invece, l’associazione Emily e Mezzocielo, rappresentate dall’avvocato Claudia Lombardo, e Associazione Mete Aps, rappresentata dall’avvocato Alì Listi Maman e Giuseppe Centineo. «Estromettere proprio le associazioni che fanno sensibilizzazione contro la cosiddetta “cultura dello stupro" - dichiarano Milena Gentile, presidente dell’associazione Emily, Giorgia Butera, presidente di Mete onlus, e la redazione di Mezzocielo - e in modo particolare perché agiscono anche sul piano politico, rivela che ancora non è abbastanza radicata la consapevolezza che la lotta contro la violenza di genere è principalmente culturale e che per incidere non può che passare da una forte azione politica».
«Le associazioni - aggiungono - rappresentano la società civile e, in quanto tali, non possono restare fuori dalle aule giudiziarie perché sarebbe un fallimento dei principi delineati dalla Convenzione di Istanbul e dalle pronunce degli organismi internazionali. La linea difensiva, le sentenze e il racconto giornalistico generano cultura, quindi possono contribuire al cambiamento della mentalità e dei pregiudizi che stanno alla base della violenza oppure possono perpetuare la cosiddetta "vittimizzazione secondaria" della donna che ha subito la violenza, rovistando morbosamente nel suo passato, sugli stili di vita, sulla famiglia di provenienza e sulla maggiore o minore “disponibilità» sessuale. I processi sono processi ai colpevoli non alla vittima. Questo è un principio ineludibile che la società civile, attraverso le associazioni, chiede da anni che si applichi nelle aule giudiziarie senza più eccezioni».
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