Una bara di legno chiaro, coperta da un cuscino di rosse rosse e settembrini e la sua foto con la barba bianca che lo ha accompagnato negli ultimi 35 anni.
È iniziata nella cattedrale di Palermo la cerimonia funebre di Vincenzo Agostino, morto a 87 anni, padre dell’agente di polizia Nino, ucciso dalla mafia assieme alla moglie Ida Castelluccio, il 5 agosto 1989. Vincenzo, con la moglie Augusta Schiera, scomparsa nel 2019, ha lottato per conoscere la verità sul duplice omicidio, denunciando da subito depistaggi e «uomini dello stato che dall’interno hanno condannato mio figlio». Da quel giorno del 1989 Vincenzo non ha più tagliato la barba, lo avrebbe fatto solo a verità raggiunta.
L’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, attraversando la navata prima di iniziare la messa, si è fermato per stringere la mano e porgere un bacio ai familiari di Vincenzo Agostino, tra cui la figlia Flora e i nipoti, seduti in prima fila sul lato sinistro.
La Cattedrale è piena: tantissime persone, gente comune e autorità, sono presenti per rendere l’ultimo saluto al «papà coraggio», simbolo di ricerca di verità ad ogni costo.
Tra gli altri sono presenti l’ex questore Renato Cortese e il questore Maurizio Vito Calvino, l’avvocato della famiglia Agostino, Fabio Repici, gli ex pm Roberto Scarpinato, Gioacchino Natoli e Vittorio Teresi, la procuratrice generale Lia Sava, il presidente della Corte di appello Matteo Frasca, l’ex sindaco Leoluca Orlando, il prefetto Massimo Mariani, il presidente del Tribunale Piergiorgio Morosini, l’aggiunto Annamaria Picozzi, la procuratrice dei minori Claudia Caramanna, l’ex prefetto Isabella Giannola.
L'arcivescovo di Palermo: «Agostino esempio di resistenza a mafia»
«Vincenzo Agostino è stato da trentacinque anni, insieme alla sua amatissima moglie Augusta Schiera, da quel tormentoso 5 agosto 1989, una vedetta, una sentinella, un vegliardo. Nonostante il buio della notte, allorché nel suo spirito poteva scendere una schiacciante angoscia, è diventato una fonte di incrollabile speranza per noi tutti, per questa nostra terra martoriata e per l’intero Paese».
Lo ha detto l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice nel corso dell’omelia durante la celebrazione dei funerali di Vincenzo Agostino, 87 anni, padre di Nino il poliziotto ucciso dalla mafia a Villagrazia di Carini insieme alla moglie Ida Castellucci che era incinta.
«La lunga barba bianca di Vincenzo Agostino - ha proseguito - ha rappresentato per noi il segno della resistenza attiva e proficua alla mafia e alle tante forme del ‘male strutturato» che ardiscono eliminare finanche - come lui stesso ebbe a dire - il «bene di un figlio, di una nuora, di un bambino mai conosciuto“; che sterminano Nino, un onesto e accorto servitore dello Stato, la sua giovane moglie Ida e il bambino che avevano concepito da pochi mesi; insanguina le strade della città, sparge afflizione nelle case e nelle famiglie, pianifica depistaggi, compra silenzi e connivenze anche tra esponenti del potere politico e delle istituzioni dello Stato».
Agostino «ha infuso speranza. Ha chiesto di non assopirci. Ci ha provocati a non cadere nell’indifferenza deresponsabilizzante e a non abituarci al male. Quella barba è quei capelli bianchi che esaltavano i suoi occhi pieni di luce nonostante le tenebre, sono stati per noi monito a rinnovarci, a rimanere desti, a porre domande».
«È finita la fatica di Vincenzo. Ora ci è chiesto di assumerla di portarla avanti noi. Il testimone passa a noi - ha detto Lorefice - Siamo qui per questo, per continuare a vegliare nella notte. È il modo migliore per dimostrare a tutti voi cari congiunti, e in particolare a voi carissime Flora e Nunzia e a voi nipoti, a te carissimo Nino, la nostra vicinanza e la nostra gratitudine a papà e a nonno Vincenzo. In una città che ha assistito al sacrificio di tanti uomini e donne delle istituzioni, della società civile e della Chiesa palermitana, possa la sua credibile e costante testimonianza continuare ad essere uno sprone nella costruzione di una città degli uomini giusta e solidale, libera dalle ‘strutture di peccatò mafiose e dalla corruzione e dalla falsità imperante».
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