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Caccamo, il figlio di Mico Geraci: «Dietro l’omicidio di papà possibili convergenze politiche»

«Il fatto che si sia mosso il capo di Cosa nostra mi fa riflettere. Tanti tentativi di depistaggio, ma la Dda ha tenuto la barra dritta»

C’è un’ipotesi che martella la testa di Giuseppe Geraci, figlio del sindacalista Mico ucciso da Cosa Nostra. «Secondo me non è stata solo mafia, non escludo che ci possa essere anche una convergenza politica. Il fatto che si sia mosso Bernardo Provenzano mi fa molto pensare che potrebbe esserci qualcosa di più. Il processo che si celebrerà servirà anche a fare ulteriore chiarezza su questo aspetto. Vogliamo tutta la verità e ci costituiremo parte civile».

Gli occhi di Giuseppe diventano lucidi quando ripensa a quel maledetto 8 ottobre. Di quel giorno ricorda tutto, «ogni dettaglio». «Sono stato l’ultimo familiare ad averlo visto - racconta - aveva una riunione politica. Stava lavorando per una sua possibile candidatura a sindaco e aveva una cena». Una cena che saltò all’ultimo momento. «Non ho mai capito perché quell’appuntamento venne rinviato», aggiunge Geraci. «Mi disse che avrebbe cenato a casa - prosegue - così passai dal sindacato ed espresse il desiderio di mangiare una schiacciata. Andai in pizzeria, ma quelle pizze non le avremmo mai mangiate. Quando sono arrivato ho visto una folla di persone sconvolta e agitata. Ho fermato una persona che correva che mi ha rassicurato, poi ho visto mio padre in una pozza di sangue con mia madre che lo sorreggeva, ma lui era già morto». Attimi terribili ma indelebili.

Da lì inizia una lunga stagione per cercare verità e ottenere giustizia. Ma il percorso è tortuoso, ostacolato da depistaggi, archiviazioni e mascariamenti . Nel 2002 il senatore indipendente di Forza Italia, Lino Jannuzzi, scrive su Panorama che «Mico Geraci è un sindacalista molto discusso che avrebbe fatto da tramite tra la mafia e ambienti della sinistra (si disse perfino che Geraci era su quello stesso aereo in cui viaggiarono da Palermo a Roma Luciano Violante e Giovanni Brusca». Delegittimazioni e accuse infamanti. Sette anni dopo chiederà scusa alla famiglia dopo un processo per diffamazione. Dopo l’uccisione di Geraci, il Comune di Caccamo affigge dei manifesti nelle strade del paese: «Si è spento Mico Geraci». La mafia scomparsa, non esiste. Come se il sindacalista fosse morto di morte naturale. «Ci sono stati più tentativi di delegittimare - dice Giuseppe Geraci - la figura di mio padre, però devo dire che le istituzioni, la Procura specialmente, ha sempre mantenuto la barra dritta. Ricordo un bell’incontro con Pietro Grasso, al tempo capo della Procura, che mi disse che non si sarebbe lasciato influenzare da altre ricostruzioni».

Venticinque anni di verità negate. Ma ieri è arrivata quella che potrebbe essere una svolta. «Sono venuto a conoscenza della notizia il giorno prima. Ho subito pensato, forse sarà banale ma è la verità, che finalmente ci sono le condizioni perché io possa dormire più tranquillo la notte. Solo Dio sa a cosa mi riferisco e quanto sia vero quello che sto dicendo». «Il momento che ricordo con più affetto? Quando mi sono diplomato. Mi regalò un telefonino, un Motorola Cd 920 che a quell’epoca era l’ultima novità tecnologica. L’ho conservato».

Accanto a Giuseppe Geraci c’è l’avvocato Armando Sorrentino. Presto andrà in Procura per sapere se si terrà a breve l’udienza preliminare nei confronti dei fratelli Rinella o se prima si aspetterà di individuare altri possibili soggetti legati all’omicidio, come scrive il Gip Alfredo Montalto che nell’ordinanza parla di «soggetti la cui identificazione è tuttora in corso». Si continua a scavare.

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