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Piantedosi in aula a Palermo: «Sulla Open Arms nessuno rischiava la vita»

Una testimonianza ritenuta cruciale dall’avvocato Giulia Bongiorno, legale di Matteo Salvini. Tant’è che il difensore a fine udienza ha informato la Corte che rinuncerà a buona parte degli altri testimoni

Matteo Salvini con il suo avvocato Giulia Bongiorno all'uscita dall'aula bunker del carcere Pagliarelli dopo l'udienza del processo Open Arms a Palermo il 23 Ottobre 2021 Palermo

Nessuno dei 147 migranti soccorsi dalla Open Arms era in pericolo di vita, spettava al Cirm e all’Usmaf certificare eventuali problemi di salute, di incolumità e di igiene a bordo, ma gli esperti non fecero alcuna segnalazione.
Dunque il governo Conte 1 andò avanti in quello che era «l’indirizzo politico»: ottenere dall’Ue la garanzie sulla distribuzione dei naufraghi e solo dopo autorizzare lo sbarco.

Incalzato per tre ore dalle domande dei pm, delle parti civili e dalle precisazioni richieste dal presidente della Corte Roberto Murgia, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi - che all’epoca dei fatti era capo di gabinetto del Viminale - ha ricostruito le fasi concitate di quei venti giorni di quasi cinque anni fa durante i quali i naufraghi rimasero a bordo dell’imbarcazione fino a quando l’allora procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio ne ordinò lo sbarco immediato a Lampedusa dopo avere constatato di persona le pessime condizioni di salute.

La testimonianza del ministro

Una testimonianza ritenuta cruciale dall’avvocato Giulia Bongiorno, legale di Matteo Salvini, che è imputato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Tant’è che il difensore, alla fine dell’udienza, ha informato la Corte che rinuncerà a buona parte degli altri testimoni. Dunque, quella del 22 marzo potrebbe essere l’ultima o la penultima udienza nell’aula bunker dell’Ucciardone prima delle arringhe finali. Per l’avvocato Bongiorno, «il ministro Piantedosi ha ricostruito l’intera vicenda con lucidità», evidenziando «non solo l’estrema correttezza dell’operato di Salvini, ma finalmente in modo chiaro ha definito la linea di demarcazione che esiste tra chi si deve occupare di eventuali problemi di salute, incolumità, igiene e chi si deve occupare di sicurezza; quindi le valutazioni di sicurezza, diamo o no il porto sicuro, si possono superare quando ci sono problemi di salute: se i migranti stavano male sarebbero scesi».

«Qualificammo l’evento come di immigrazione clandestina e, valutati i comportamenti della Open Arms, avviammo le procedure per emanare il decreto interministeriale per impedirle l’ingresso in acque internazionali italiane - ha detto Piantedosi - La definizione di non inoffensività si basava sul comportamento attuale e pregresso della Open Arms che non aveva accettato il coordinamento della guardia costiera libica e che si dirigeva direttamente verso le acque italiane».
Ha poi ricordato che la ong spagnola rifiutò di consegnare a Malta alcuni dei migranti soccorsi e non accettò il porto sicuro assegnato dalla Spagna. «Non si capisce perché chi raccoglie migranti deve venire in italia. C’è Malta, c’è la Tunisia. Se si vogliono salvare vite umane e serve presto un porto perché non si chiede alla Tunisia ad esempio? Poi nel caso della Open Arms, nave spagnola, con la Spagna disposta ad andarli a prendere, dissero di no». Comportamenti, secondo il ministro, «che svelano il vero retroterra ispirato a portare i migranti in Italia. Il salvataggio era secondario, secondo me».

La Ong contesta il blocco subito 5 anni fa

La Ong, da parte sua, continua a contestare il blocco subito 5 anni fa. «È stato - spiega Veronica Alfonsi, presiente di Open Arms Italia - un processo lungo, abbiamo assistito a molte udienze in cui si sono spese ore a parlare di galleggiabilità o non galleggiabilità dell’imbarcazione, quello che a noi interessa invece è che sia dia voce alle persone soccorse che avevamo sulla barca, alle loro storie e alle loro vite perché è quello che conta. Ci è sembrato che spesso si è parlato di loro come carichi residuali ma non è così perché sono vite umane».
Dopo l’udienza, Piantedosi ha presieduto il comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico annunciando un patto tra istituzioni per Palermo su cui lavoreranno i tecnici. E ha quindi consegnato le chiavi di un bene confiscato alla mafia alla Procura di Palermo: un edificio di 800 metri quadrati nella borgata di Partanna-Mondello, qui ci saranno i nuovi uffici della polizia giudiziaria.

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