Revocato il sequestro dei beni per un valore di circa 500 mila euro che era stato disposto dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale nei confronti di Benedetto Pipitone, 48 anni, difeso dall’avvocato Manuele Ciappi del foro di Prato e dall’avvocato Gaspare Genova che ha assistito anche i familiari di Pipitone - Baldassare, Epifania e Antonino - che erano coinvolti nel procedimento.
La quinta sezione misure di prevenzione della Corte di appello ha invece deciso di annullare il decreto con cui erano stati sequestrati due fabbricati a Carini, un appezzamento di terreno sempre a Carini e cinque rapporti bancari, su cui era stata individuata una somma complessiva di 150 mila euro. Pipitone, ritenuto uomo d’onore della famiglia mafiosa di Carini, era stato arrestato nell’operazione denominata «Destino». In primo grado aveva riportato una condanna di primo grado a 7 anni di reclusione, confermata dalla Corte d’appello, per estorsione aggravata in concorso, incendio, uccisione di animali, detenzione e porto illegale di arma da fuoco e favoreggiamento reale. Sentenza poi annullata parzialmente dalla Corte di Cassazione per quanto riguarda i reati di estorsione aggravata e di favoreggiamento reale.
L’attività d’indagine era iniziata la notte di capodanno del 2013, a seguito dell’incendio doloso di una stalla nelle campagne di Carini e dell’uccisione, mediante colpi di arma da fuoco, di due cavalli e di un suino. Gli investigatori, dopo mesi di lavoro, interrogatori e intercettazioni, erano riusciti ad individuare l’autore del gesto in Benedetto Pipitone e il mandante nel suocero boss Angelo Pipitone, che all’epoca dei fatti era detenuto in carcere per estorsione e associazione per delinquere di stampo mafioso.
L’atto intimidatorio era finalizzato ad indurre il proprietario di una stalla a vendere la propria quota alla famiglia mafiosa (tra l’altro già proprietaria al 50 per cento). Per il concorso nell’estorsione aggravata, vennero arrestate anche la moglie e la figlia del boss. Nel corso dell’inchiesta, inoltre, i carabinieri erano anche riusciti a ricostruire una fitta rete di prestanome, grazie ai quali l’anziano boss, pur trovandosi recluso dal gennaio 2007, riusciva a gestire e ad accrescere un immenso patrimonio occulto, fatto di ville, terreni, fabbricati industriali e società.
La Corte, sottolineando che le condotte di Benedetto Pipitone siano indicative di una pericolosità sociale da gennaio 2013 a luglio 2014, ha rilevato che non sussistono «indizi della sua appartenenza al sodalizio mafioso», né che i reati per cui è stato condannato «siano stati commessi nell’interesse di Cosa nostra» per cui i beni «acquisiti fuori da questo perimetro cronologici», non possono essere suscettibili della confisca preventiva.
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