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Ecco le testimonianze di quattro anni fa dei poliziotti della Mobile di Palermo: «La Barbera? Guai a contraddirlo»

Secondo quanto dichiarato, il capo del 1992 si circondava di «yes man». Per questi agenti Scarantino non era affidabile: «Manifestai questi dubbi e fui liquidato con disprezzo»

La strage di via D'Amelio

Arnaldo La Barbera, l’ex capo della squadra mobile di Palermo a capo del pool Falcone-Borsellino che indagava sulle stragi, viene descritto dai poliziotti che hanno lavorato con lui come un uomo autoritario. Guai a contraddirlo. Per dare una svolta alle indagini sulla strage di via D’Amelio, che costò la vita al giudice Paolo Borsellino e a 5 agenti di scorta, il 29 settembre 1992 venne arrestato Vincenzo Scarantino, un picciotto del quartiere della Guadagna che si occupava all’epoca di furtarelli e sigarette di contrabbando.

E fu da quell’arresto che iniziò il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana. Scarantino aveva anche difficoltà ad esprimersi. «All’interno del nostro ufficio - ha dichiarato, in una testimonianza resa il 20 maggio 2019, Nicolò Giuseppe Manzella - in molti pensavano che Scarantino fosse totalmente inaffidabile, ma non so quanti rappresentarono a La Barbera tale convincimento. Costui si circondava di giovani funzionari e di personaggi che non mettevano in dubbio la sua linea di condotta. Una volta gli dissi che a mio avviso uno che vendeva fazzoletti per strada non avrebbe mai potuto essere ammesso al cospetto di Riina né essere affiliato a Cosa nostra. La Barbera, mi liquidò con disprezzo, senza neanche farmi finire di parlare».

Manzella è uno dei cinque poliziotti della squadra mobile di Palermo ascoltati dalla Dda di Caltanissetta in merito alle indagini sulla strage di via D’Amelio. «La Barbera – sottolinea Manzella – amava circondarsi di personaggi proni al suo volere. Chiunque contestasse i suoi ordini veniva bollato come soggetto non gradito e messo da parte, come accadde ad esempio a Lo Presti». Quest’ultimo è un poliziotto, anche lui in servizio all’epoca alla questura di Palermo, considerato da La Barbera «inaffidabile» perché si rifiutò di arrestare il metronotte di via D’Amelio.
Un ordine che l’agente si rifiutò di eseguire, poiché riteneva che il metronotte fosse «del tutto estraneo ai fatti». Il capo della Mobile riteneva che bisognava dare un segnale all’opinione pubblica. Lo Presti, sentito dalla procura nissena il 26 marzo 2019, ha riferito di non sapere «nulla su come nacque la pista che conduceva alla Guadagna né come venne poi sviluppata. Non avevo mai in precedenza sentito parlare né di Scarantino, né di Candura, né di Valenti» ha aggiunto.

Il poliziotto ha anche affermato che «La Barbera ad ogni piè sospinto diceva che il valore del vero poliziotto si fondava sulla capacità di circondarsi di buoni confidenti. Senza confidenti non vi era possibilità di svolgere l’attività di polizia giudiziaria. Una delle voci che ricorrentemente circolava nei nostri ambienti – ha sottolineato l’agente agli inquirenti - era che detto funzionario si circondasse di "yes man" per garantirsi una gestione incontrastata delle indagini. Questo era il clima che si respirava alla mobile in quegli anni».

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