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Palermo, «l’alterco sfociò in omicidio»: nessun disegno criminale dietro la morte di Emanuele Burgio

Le motivazioni della sentenza: fu un'estemporanea. A giugno furono condannati a 18 anni Matteo Romano e il nipote Giovanni Battista

Emanuele Burgio, il giovane ucciso alla Vucciria

Non fu un omicidio programmato, frutto di un preciso disegno criminale, si trattò invece di un’azione estemporanea «nel corso di una discussione insorta per iniziativa proprio della vittima» commessa «in maniera assolutamente plateale, senza alcun accorgimento per ricercare una potenziale impunità, davanti a molteplici testimoni oculari ed in una zona dove notoriamente sono presenti diversi impianti di videosorveglianza». Lo mettono nero su bianco i giudici della prima sezione della Corte d'Assise, presieduta da Sergio Gulotta (a latere Monica Sammartino), nelle motivazioni della sentenza sull'omicidio di Emanuele Burgio (nella foto), il giovane figlio di un boss di Porta Nuova ucciso a colpi di pistola la notte del 31 maggio di due anni fa alla Vucciria.

Per il delitto, a giugno, erano stati condannati a 18 anni di reclusione Matteo Romano e il nipote Giovanni Battista, mentre è stato assolto il padre di quest'ultimo, Domenico Romano. Nelle 91 pagine è stato analizzato l’intero iter processuale ma, in particolare, la spiegazione si è soffermata sul venir meno delle aggravanti del metodo mafioso e della premeditazione.

Un servizio completo di Fabio Geraci sull'edizione di Palermo del Giornale di Sicilia in edicola oggi

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