Cinque poliziotti che operavano in questura a Palermo nel 1992, cioè l’anno delle stragi di Capaci e via D’Amelio, furono sentiti nel 2019 dalla Procura di Caltanissetta nell’ambito dei tanti procedimenti aperti per fare chiarezza su quegli anni di sangue e sul destino dell'agenda rossa di Paolo Borsellino: si tratta di Andrea Grassi, Gabriella Tommasello «che ha visto la borsa (del magistrato, ndr) - dice la procura generale di Caltanissetta - nella stanza di La Barbera», Armando Infantino, Giuseppe Lo Presti e Nicolò Giuseppe Manzella. Il dato è emerso dal processo di appello sul depistaggio delle indagini su via D’Amelio, che si tiene a Caltanissetta. Sotto processo sono gli ex agenti Mario Bo e Fabrizio Mattei, per i quali è stata dichiarata la prescrizione dell’accusa di calunnia, e Michele Ribaudo, che è stato assolto.
I cinque poliziotti, ha spiegato il sostituto procuratore generale Maurizio Bonaccorso, furono sentiti a sommarie informazioni testimoniali per ricostruire le fasi che vanno dal possesso della borsa di Paolo Borsellino nelle mani del carabiniere Giovanni Arcangioli subito dopo la strage di via D’Amelio alla ricomparsa della borsa stessa, in circostanze ancora non compiutamente chiarite, nell’ufficio del dottor Arnaldo La Barbera, a quel tempo capo della della squadra mobile di Palermo. È sul passaggio della borsa dalle mani di Arcangioli all’ufficio di Arnaldo La Barbera che la Procura di Caltanissetta ha concentrato gli interrogatori dei cinque poliziotti, che hanno chiarito circostanze ritenute ancora inedite dalla procura nissena. Se le sommarie informazioni testimoniali saranno acquisite, gli agenti non verranno sentiti in aula. Per la procura generale di Caltanissetta alcune testimonianze sono importanti perché chiariscono dei punti su cosa accadde con la borsa di Borsellino.
Questione a parte è la perquisizione effettuata lo scorso settembre in casa dei familiari di La Barbera tra Roma e Verona. Il mandato di perquisizione, ancora coperto da segreto investigativo, è lungo venti pagine e per ora non può essere reso noto. «Sono uscite- ha detto Bonaccorso - notizie di stampa in merito alle indagini condotte dalla procura della Repubblica sul ritrovamento dell’agenda rossa, riguardo alle perquisizioni nell’appartamento dei familiari di Arnaldo La Barbera. Indagini che hanno portato a risultati ma che sono coperte dal segreto. Dopo la pubblicazione delle notizie c’è stata una richiesta da parte delle parti civili per accedere agli atti. In questo momento da parte della procura c’è stata una risposta negativa perché le indagini sono coperte da segreto». Il rappresentante dell'accusa ha spiegato che «tutto ciò che riguarda la perquisizione di atti di indagine è rigorosamente coperto dal segreto investigativo».
Su una vicenda che riguarda la vecchia inchiesta mafia e appalti, della quale si ipotizzano collegamenti con la decisione di uccidere Borsellino, è intervenuto invece il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti. «Ci auguriamo - ha detto - si faccia massima chiarezza sulle intercettazioni che saranno ascoltate oggi a Roma che riguardano esponenti di Cosa nostra e del mondo del calcestruzzo. Secondo la ricostruzione che si legge su di un quotidiano nazionale, non sarebbe immune da responsabilità anche l’area politica della sinistra attraverso l’acquisizione a prezzo stracciato di due aziende privatizzate, da parte di un’azienda legata ad un noto gruppo industriale italiano di allora. Dette aziende avrebbero avuto, infatti, come cliente quasi esclusivo della produzione di marmo una società che faceva capo alla famiglia mafiosa dei fratelli Buscemi, associata al boss Totò Riina. Negli anni scorsi si tentò di archiviare troppo in fretta questa vicenda, come risulta in atti. Desta più di un dubbio la dinamica che portò al trasferimento a Palermo delle bobine riguardanti questi rapporti fino alla loro distruzione. Alcune di queste intercettazioni si salvarono e su queste Fratelli d’Italia pretende la massima trasparenza per fare luce su un intreccio anticipato dallo stesso giudice Falcone quando sentenziò che la "mafia era entrata in Borsa"».
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