A Palermo, dopo più di dieci anni, il processo contro i presunti usurai è finito in una bolla di sapone, ma una delle vittime non ci sta e punta il dito contro «il sistema della giustizia che, in questo caso, ha fallito miseramente». Sono parole amare quelle di Marco Alduina, il titolare di una società pubblicitaria che aveva trovato il coraggio di denunciare un giro di prestiti di denaro con tassi usurai del tre per cento al mese. Tra tempo perso, assoluzioni e prescrizioni, il dibattimento - che ciclicamente è dovuto ripartire da zero perché il collegio è cambiato nove volte – si è concluso senza un colpevole.
Scagionati i due principali imputati, Rubens D'Agostino - condannato a 10 anni per mafia nel processo contro i boss che volevano ripristinare la commissione di Cosa nostra – e Giuseppe Sanfilippo (il fratello Maurizio aveva invece patteggiato una pena a tre anni e tre mesi). Per loro la Procura aveva chiesto 4 anni ciascuno. Erano stati indicati come i vertici dell'organizzazione. Prosciolti anche alcuni dipendenti di banca, che – sempre secondo la tesi dell'accusa – avrebbero manomesso e alterato gli assegni per conto dei capi, anche con l'impiego di timbri falsi, e alcuni commercianti, i quali, anziché collaborare con gli investigatori, avrebbero avvisato gli altri dell’esistenza di indagini in corso nei loro confronti.
«Alla fine è come se non fosse successo nulla – ammette Alduina, assistito dall’avvocato Riccardo Ruta, che ha seguito la vicenda dopo la morte del padre - eppure è cambiato il corso della mia vita. Sono stato aggredito da due persone, mi hanno minacciato e bruciato l'auto, ma sono andato avanti lo stesso e li ho fatti arrestare, pur senza ricevere nessun risarcimento da parte dello Stato. Ci sono stati momenti difficili, sono stato costretto a trasferirmi a Milano, ma ho continuato a lavorare con la mia agenzia di pubblicità, adesso mi accorgo che non ha pagato nessuno per quanto è accaduto, sono allibito e mi sento tradito da questa giustizia».
Nell’operazione denominata «The Uncle» - lo zio, come si faceva chiamare uno dei due fratelli dai suoi «clienti» e dai collaboratori - furono coinvolte 15 persone, accusate a vario titolo di usura e violazione della legge antiriciclaggio. Ad accelerare le indagini fu un episodio in particolare: una persona, in ritardo con i pagamenti, era stata avvicinata e malmenata da D’Agostino, uomo d’onore di Porta Nuova, ai tempi uomo di fiducia dei due fratelli Sanfilippo.
Davanti a questa escalation di violenza, gli inquirenti decisero arrestare in flagranza di reato l’esecutore del pestaggio, proprio nel momento in cui si apprestava ad incassare la rata. Era il 5 maggio del 2011. Sei anni dopo lo stesso D’Agostino, ignaro delle microspie che lo stavano intercettando, parlava dei fratelli Sanfilippo come di una banca che finanziava anche boss e affari illeciti, paragonando Giuseppe addirittura a Silvio Berlusconi.
Adesso la sentenza di assoluzione che annulla tutto: «Ero presente in aula accanto a Sanfilippo – racconta Alduina –, ma il giorno che per me doveva essere quello della liberazione, si è trasformato in un'immensa delusione. Non credo alle macchinazioni, ma con questa sentenza la giustizia ha fallito e il sistema è stato sconfitto. Lo dico con enorme amarezza. Per dodici anni sono stato in silenzio e non avrei parlato neanche stavolta, oggi però mi sento tradito dallo Stato, che mi ha lasciato solo, facendomi sentire inutile nella mia denuncia contro la mafia. Chiedo un intervento da parte delle istituzioni per la mia storia ma anche a nome per conto di tutte le vittime».
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