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Palermo, l'Antimafia allo Sperone: «La droga trasforma i ragazzi in veri e propri zombie, dobbiamo aiutarli»

Il papà di Giulio, il diciannovenne stroncato dal crack: «Tanti giovani aspettano che qualcuno gli tenda una mano e li porti in una direzione diversa»

La Commissione regionale antimafia fa visita al quartiere dello Sperone a Palermo, nei giorni scorsi protagonista di oltre una decina di arresti per spaccio di stupefacenti anche di fronte alle scuole, dove entravano in azione anche baby pusher. La Regione Sicilia ha avviato un bando di 5 milioni di euro per costruire forme di risposta sociale nelle comunità, una rete di protezione per chi è vittima del vortice della droga. «Veri e propri zombie», li ha definiti il presidente della Commissione Antonello Cracolici a margine dell’incontro tra istituzioni e associazioni che si è svolto questa mattina nel plesso Puglisi dell'istituto comprensivo Pertini, dove la preside Antonella Di Bartolo ha avviato percorsi sportivi di atletica leggera per i ragazzi.

«Bisogna immaginare anche strutture di ricovero per questi ragazzi - ha continuato Cracolici - ogni giorno che passa si nota l’impreparazione di un sistema che dovrebbe combattere queste fattispecie. I pusher fanno parte di un vero e proprio sistema parallelo allo Stato: sono pagati e sanno di avere anche una sorta di cassa integrazione durante la loro permanenza in carcere. Insomma, il reddito non lo perdono mai». Il presidente è un fiume in piena. «Oggi ci stiamo mettendo la faccia» attacca, di fronte ai tanti presenti tra cui Ismaele La Verdera, l’assessore regionale alla Famiglia Nuccia Albano, l’assessore comunale Dario Falzone, Francesco Zavatteri, papà di Giulio. «Il problema non sono i soldi - continua - la messa a terra degli interventi è la sfida più complessa, dove ci giochiamo la credibilità: dobbiamo avere rigore di monitoraggio, senza perderci in rivoli per fare contente determinate associazioni. Lo stato deve offrire una risposta seria. Bene la repressione, ma deve esserci anche tanto altro».

Nei quartieri si è ormai sviluppata una filiera lunga e profonda, che rende sempre più complicata anche l’individuazione del rapporto tra lo spacciatore e l’organizzazione mafiosa che controlla il traffico. Eppure tanti preferirebbero cambiare strada: «Questo va sottolineato - dice don Ugo Di Marzo - tanti vogliono cambiare vita, lasciare lo spaccio di droga ma non hanno gli strumenti. Lo Stato cosa offre a questi genitori di 35-40 anni che hanno la quinta elementare o la terza media e che non possono trovare spazio nel mondo del lavoro. Così lo spaccio diventa uno sbocco lavorativo triste e dannoso».

A fargli eco è Francesco Zavatteri, il papà di Giulio, il diciannovenne stroncato dal crack: «Tanti giovani aspettano che qualcuno gli tenda una mano e li porti in una direzione diversa - sottolinea - hanno bisogno di essere aiutati e lo manifestano apertamente». Fuori dalla scuola, dove si ragiona su nuovi modelli di lotta, ci si scontra con la durissima realtà di un quartiere abbandonato a sé stesso. «Siamo abbandonati - dice una signora - se ci fosse una reale presenza dello Stato allora qualcosa si potrebbe fare. La popolazione è mista: c’è chi vuole stare nel ghetto e chi ne vuole uscire. Però, purtroppo c’è gente che è costretta a stare in silenzio e subire. Io ci abito da una vita, convivo e combatto. Lo Stato se ne frega, anzi forse ci mangia. Prendono i pesci piccoli e li fanno uscire dopo qualche giorno».

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