Lo stupro di gruppo a Palermo, l'aggressione ai giornalisti arriva dopo le minacce alla ragazza violentata
«Ci avete rotto, qui non ci dovete venire. Se non ve ne andate, vi spacchiamo la testa». E in effetti è finita proprio così, con un componente della troupe di Rete 4, inviata in via Montalbo, a Palermo, per cercare di intervistare le famiglie dei sette ragazzi dello stupro che abitano nella zona, mandato al pronto soccorso di Villa Sofia dove gli sono stati diagnosticati sei giorni di prognosi per un colpo di casco sul cranio. Sull’episodio sta indagando la polizia, che ha acquisito i filmati perché si vedrebbero in volto gli autori dell’aggressione, che quindi potrebbero essere identificati. Un clima velenoso che non avrebbe risparmiato nemmeno la vittima, che è stata mandata in comunità proprio per sottrarla a nuove ritorsioni, dopo quelle che aveva dovuto sopportare un mese prima. In effetti, i giudici, nell’ordinanza che disponeva l’arresto di Maronia, La Grassa e Arnao, avevano messo nero su bianco che la giovane «era già stata fatta bersaglio di minacce, veicolate da terze persone, nell’interesse degli indagati, evidentemente tese a destabilizzarla emotivamente, in un momento di comprensibile difficoltà». Parole comprensibilmente criptiche che però ora troverebbero una spiegazione più chiara nelle carte dell’inchiesta. La diciannovenne, infatti, sarebbe stata contattata per ritrattare tutto: al telefono, passato dalla sua più cara amica - la stessa con cui ha recentemente rotto i ponti - c’era una voce femminile che le intimava di ritirare la denuncia contro il gruppo, altrimenti ci sarebbero state gravi conseguenze. Un avvertimento che aveva preso sul serio, anche per paura che qualcuno potesse fare male al fidanzato, ma che comunque non le aveva impedito di mettere al corrente i carabinieri di quanto stava accadendo. Successivamente ci sarebbe stato pure un altro tentativo per farle cambiare idea. Questa volta sarebbero stati gli stessi Angelo Flores e Gabriele Di Trapani, due degli indagati per lo stupro del 7 luglio al Foro Italico, a farsi avanti: il primo con una telefonata a cui non sarebbe seguita la risposta, l’altro tramite un messaggio anche questo rimasto lettera morta. Due passaggi che avrebbero convinto i magistrati ad inasprire le esigenze cautelari nei confronti dei sette componenti del branco. La tensione è cresciuta a vista d’occhio sui social con gli attacchi degli haters, ma anche nel quartiere che la vittima è stata costretta a lasciare qualche giorno fa. Alcuni parenti degli indagati sarebbero stati isolati, anche se nessuno vuole parlare per prendere una posizione: «Abbiamo deciso di disertare il negozio di uno di loro, non entra più nessuno per comprare da loro», spiega una signora che fugge appena vede il taccuino. Nessuna solidarietà ufficiale, ma neppure una condanna pubblica per la violenza, con la maggior parte dei residenti a fare finta che non sia successo nulla. La polveriera è esplosa ieri con un giornalista e due operatori che sono stati prima minacciati e poi aggrediti dopo avere suonato al campanello della casa in cui Christian Maronia viveva con i suoi genitori prima di essere arrestato. «Volevamo intervistare sua mamma - racconta il cameraman Roberto Comella - ma lei ci ha cacciato in malo modo. Nel frattempo due giovani, che avevano assistito alla scena, hanno cominciato a insultare. Siamo andati via subito ma, quando ci siamo girati, il collega Massimiliano Viviano è stato colpito alla testa con un casco ed è caduto a terra. Ci siamo spaventati, lo abbiamo portato in ospedale, ma per fortuna non ha nulla di grave. Loro invece sono scappati. Ma in tanti si sono avvicinati per dare una mano». La famiglia di Maronia ha cambiato tre volte avvocato difensore: il primo era stato Rosario Sansone, che era stato nominato quando il giovane era indagato a piede libero (il gip aveva infatti respinto la prima richiesta di arresto nei suoi confronti). Dopo avere letto l’ordine di custodia, il legale aveva rinunciato al mandato. Era stato dunque lui a lasciare e al suo posto sono stati nominati poi altri due legali. Nella foto il punto in cui i giornalisti di Rete 4 sono stati aggrediti