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La morte del cameraman palermitano Biondo, la famiglia contro una serie di Netflix

«È tutto una bugia, tutto inventato», puntualizza la mamma di Mario, Santina D’Alessandro, che non ha mai creduto alla tesi del suicidio e annuncia querele

Mario Biondo con la moglie Raquel Sanchez Silva

Arriva il 3 agosto su Netflix il documentario sulla morte di Mario Biondo, il cameraman palermitano sposato con la conduttrice televisiva Raquel Sanchez-Silva, trovato impiccato con una pashmina il 30 maggio del 2013 alla libreria della loro casa di Madrid. La docuserie in tre puntate Le ultime ore di Mario Biondo, che dovrebbe passare in rassegna le circostanze che portarono al decesso e al ritrovamento del cadavere del giovane che all'epoca aveva 31 anni, ha già scatenato forti polemiche.  Secondo la piattaforma televisiva, il lungometraggio sarebbe il risultato «di un profondo lavoro di ricerca, che è stato svolto tra il 2021 e il 2023 e che ha incluso più di 200 ore di registrazione, una ventina di interviste e la revisione di una moltitudine di fonti bibliografiche».

Ma il timore della famiglia Biondo - che in un primo momento aveva deciso di collaborare con le riprese - è che gli autori spingano per accreditare la tesi del suicidio, portata avanti dagli inquirenti spagnoli, mettendo invece in secondo piano la convinzione dei magistrati italiani che invece credono che Mario possa essere stato ucciso anche se, a distanza di 10 anni, non ci sarebbero più le condizioni per stabilire la verità. Per questo motivo i parenti del cameraman hanno diffidato la produzione, soprattutto dopo avere scoperto che dietro la realizzazione del documentario ci sarebbe Guillermo Gomez Sancha, ex manager e amico di Raquel Sanchez Silva.

«È tutto una bugia, tutto inventato», ha puntualizzato la mamma di Mario, Santina D’Alessandro, in un video pubblicato su Facebook. «Sono sicura che parleranno male di mio figlio - continua riferendosi alla serie di Netflix - ma risponderemo con documenti alla mano, mostrando anche messaggi inediti, stavolta sarò io a denunciare Raquel e tutte le persone che si sono adoperate a infangare la memoria di mio figlio». L'anno scorso il gip Nicola Aiello aveva archiviato, suo malgrado, l'inchiesta contro ignoti per la morte di Mario Biondo. Aveva scritto nella sua sua ordinanza che «pur essendo rintracciabili dal fascicolo del pubblico ministero numerosi segmenti probatori», le lacunose indagini svolte dalle autorità spagnole e il troppo tempo trascorso dalla data della tragedia «hanno di fatto pregiudicato la possibilità di svolgere quelle indagini che avrebbero potuto consentire di individuare gli autori dell'ipotizzato omicidio. In definitiva non si ritiene che sussistano elementi per dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, in un ipotetico dibattimento questa tesi e per tale ragione si ritiene di accogliere la richiesta di archiviazione e restituire gli atti al pm».

Il gip aveva puntato il dito contro i magistrati spagnoli per aver chiuso frettolosamente il caso classificandolo come suicidio provocato da un auto gioco erotico e aveva sottolineato l’errore di non avere acquisito i tabulati telefonici e autorizzato le intercettazioni delle persone vicine a Biondo, a partire dalla moglie, oggi 50enne, uno dei volti più amati in Spagna. Era stata proprio lei, infatti, a trovare il corpo del marito e a chiamare i soccorsi. Per Aiello, «Biondo fu ucciso da mano rimasta ignota e successivamente collocato in una posizione atta a simulare un suicidio. Nulla si può rimproverare ai magistrati della Procura e a quelli della Procura Generale, i quali hanno compiuto ogni possibile sforzo investigativo per l'accertamento della verità, impossibile da trovare a causa dei ritardi investigativi imputabili alle carenze degli accertamenti iniziali».

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