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Palermo, il capomafia impartiva ordini dal carcere con le videochiamate: ecco chi è Salvatore Sorrentino

La guardia di finanza spiega in che modo il boss Sorrentino comunicava con i componenti della famiglia mafiosa del Villaggio Santa Rosalia

Nel riquadro Salvatore Sorrentino

La guardia finanza ha reso noto in che modo veniva guidato dal carcere il clan del Villaggio Santa Rosalia, quartiere molto popoloso di Palermo. I finanzieri hanno dato esecuzione a un’ordinanza applicativa di misure cautelari emessa dal gip del tribunale su richiesta della Direzione distrettuale Antimafia. Le misure sono 33: per 25 persone è scattata la custodia in carcere, per un'altra gli arresti domiciliari, per sette il divieto di esercitare attività imprenditoriali. I reati ipotizzati a vario titolo sono partecipazione e concorso esterno in associazione mafiosa, con l’aggravante dell’associazione armata, trasferimento fraudolento di valori al fine di agevolare Cosa Nostra, e traffico di stupefacenti con l’utilizzo del metodo mafioso.

Le indagini, condotte dagli specialisti del nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo-Gico, con l’ausilio della polizia penitenziaria della casa circondariale Lorusso-Pagliarelli, avrebbero permesso di ricostruire l’esistenza di consolidate e capillari dinamiche criminali legate all’esercizio di quello che viene definito «un penetrante potere di controllo economico del territorio esercitato nel quartiere Villaggio Santa Rosalia da parte dell’omonima famiglia mafiosa, inserita nel mandamento di Pagliarelli».

A capo della stessa si collocherebbe Salvatore Sorrentino, uno degli uomini d’onore più influenti all’interno di Cosa Nostra palermitana, il quale, nonostante lo stato detentivo cui è sottoposto, confermandosi - come riconosciuto dal giudice per le indagini preliminari nell’ordinanza cautelare, «protervamente ed irriducibilmente mafioso», avrebbe conservato la propria leadership mantenendo rapporti diretti e indiretti con i suoi storici sodali e con altri soggetti “contigui” alla consorteria. Le decisioni strategiche necessarie alla prosecuzione delle attività associative dell’articolazione territoriale di Cosa Nostra sarebbero state assunte direttamente dagli esponenti di vertice della famiglia mafiosa detenuti, attraverso messaggi e direttive veicolati all’esterno della struttura carceraria. In particolare, il figlio del presunto capofamiglia, Vincenzo Sorrentino, ventiduenne, – appartenente alle nuove leve di Cosa nostra – sarebbe stato investito di una funzione di supplenza rispetto al padre, curando gli interessi mafiosi ed economico-criminali della consorteria sul territorio, anche grazie al supporto di un altro giovane affiliato, che avrebbe svolto il ruolo di “braccio operativo” con funzioni di raccordo con i vertici della famiglia.

Gli elementi acquisiti allo stato delle indagini avrebbero fatto emergere che il presunto capofamiglia detenuto, grazie al continuo flusso di informazioni a lui veicolato dal figlio, sarebbe stato posto nelle condizioni di continuare ad esercitare il controllo del territorio, riaffermando costantemente il suo ruolo e contrastando i tentativi di altri esponenti mafiosi volti a limitarne l’azione in considerazione dello stato detentivo. Strumentalizzando l’utilizzo della modalità comunicativa della video-chiamata, introdotta a seguito dell’emergenza pandemica per agevolare le relazioni tra detenuti e rispettivi congiunti, avrebbe proceduto, a seconda dell’esigenza del momento, a convocare numerosi affiliati al fine di impartire direttamente ordini e direttive, rafforzando la sua autorità attraverso la forza della propria immagine e ricevendo attestati continui di fedeltà con modalità fortemente evocative del rispetto del perverso codice mafioso.

Al vertice della famiglia mafiosa del Villaggio Santa Rosalia, anche se in carcere a Rebibbia, c’è Salvatore Sorrentino, detto «Salvino» e noto come lo «studentino». Sorrentino è nipote di Francesco Paolo Barone, appartenente alla famiglia di Pagliarelli. Barone è sposato con Rosaria Lombardo, zia di Emanuela Lombardo, moglie di Salvatore e madre di Vincenzo, il giovane al quale papà Salvatore impartiva gli ordini per la gestione del clan.

Sorrentino è stato arrestato la prima volta nel 2005, assolto e scarcerato nel 2007. Nel 2008 è stato di nuovo arrestato e condannato per avere fatto parte della famiglia mafiosa del Villaggio Santa Rosalia: la pena di 8 anni e 5 mesi di reclusione.

È stato scarcerato per fine pena nel 2015. È finito di nuovo nell’inchiesta Cupola 2.0 e condannato in primo grado, accusato di essere a capo della famiglia del Villaggio, «relazionandosi - scrive il gip Walter Turturici - con Settimo Mineo - per gestire le attività delittuose nel territorio di competenza».

Sorrentino faceva arrivare i suoi ordini attraverso il figlio Vincenzo, anche lui arrestato nel corso dell’operazione della guardia di finanza, e durante le videoconferenze con i membri della famiglia Maniscalco, Ciccio, Francesco e Anthony, Maria Mazzè, moglie di Andrea Ferrante, Leonardo Marino, Morris Morgan Cardinale. Ordini che servivano per controllare in autonomia il tessuto economico del quartiere.

 

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