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Palermo, il pentito di Porta Nuova Geraci protesta: «Non parlo più, ho paura»

L'ex uomo d'onore, fuori dal programma di protezione, appare in video in un processo: «Mi sento abbandonato dallo Stato»

Nessuno se lo aspettava. È apparso, collegato in videoconferenza da un sito protetto, all’udienza del processo D’Amico - una trentina di imputati che rispondono di fatti di droga - e lì Alfredo Geraci ha spiazzato tutti. L’ultimo pentito del clan di Porta Nuova, dopo aver riempito pagine e pagine di verbali con i magistrati della Procura, ha deciso di tenere la bocca chiusa. Per protesta. Al presidente della seconda sezione penale, Roberto Murgia, ha detto chiaro e tondo che si rifiuta di rispondere alle domande perché si sente abbandonato dallo Stato e ha paura per la sua famiglia. Fine delle trasmissioni.

Ma cosa c’è dietro questo rifiuto? La rimostranza dell’ex uomo d’onore si potrebbe leggere come una risposta alla revoca del programma di protezione, che tocca a chi collabora con la giustizia. Un beneficio che Geraci avrebbe perso a dicembre dello scorso anno. Secondo l’apposita commissione del Viminale, in più occasioni si sarebbe fatto beffe del codice di condotta che i collaboranti, per legge, devono osservare, ad esempio non incontrando né discutendo con pregiudicati. In particolare a inchiodarlo ci sarebbe un’intercettazione, in cui si scambia messaggi con un detenuto agli arresti domiciliari, Giovanni Rao. La conversazione captata è stata poi utilizzata per far riaprire il processo per l’estorsione allo chef Natale Giunta e per scagionare Rao, un nipote omonimo dell’uomo intercettato con Geraci. Ma sarebbe anche costata l’estromissione dal programma di protezione. Anche se va detto che Geraci, pur avendo perso i benefici, continua a essere convocato nei processi per rendere dichiarazioni e vive in una località che non viene resa nota propri per motivi di sicurezza.

La revoca delle tutele così non avrebbe messo a rischio l’incolumità dell’ex uomo d’onore di Porta Nuova, che continua a essere di fatto sotto protezione, ma che così perde i benefici economici previsti per i collaboratori di giustizia.

Alfredo Geraci, 44 anni, ha iniziato a parlare dopo il suo arresto, avvenuto il 23 settembre 2020, quando gli uomini della catturandi della Mobile e della sezione investigativa del commissariato Oreto lo scovarono in un appartamento di Altofonte dove si nascondeva e dove finì la sua latitanza. L’arresto era arrivato in esecuzione di una misura cautelare emessa a suo carico dalla Corte d’appello, perché ritenuto «gravemente indiziato» di associazione mafiosa.

Le accuse a suo carico erano state raccolte a partire dal 2013, quando l’operazione Alexander disarticolò la mafia di Porta Nuova portando in carcere 30 tra boss e gregari, poi processati e condannati a pene severe. Proprio Geraci è stato un «uomo di fiducia» del capomafia emergente del centro storico, Alessandro D’Ambrogio, che gli aveva affidato il compito di curare il settore delle estorsioni. In effetti il pizzo veniva chiesto a tappeto, a tutti i negozianti, tranne «a quelli con l’adesivo» e cioè ai commercianti che aderivano ad Addiopizzo. Per evitare noie.

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