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Di Pietro: «Il dossier mafia-appalti non fu sviluppato, altrimenti Borsellino oggi sarebbe vivo»

Antonio Di Pietro

«Quel dossier se fosse stato sviluppato nell’immediatezza, forse Borsellino sarebbe ancora vivo. Anzi, sicuramente». Lo ha detto, nella sua Montenero di Bisaccia, in provincia di Campobasso, Antonio Di Pietro, ex pm di Mani Pulite nel corso di un intervento nella sala consiliare del Comune nell’ambito dell’incontro organizzato dall’Università delle Tre Età, dal titolo Giustizia e informazione tra realtà e ipocrisia.

«Il dossier mafia appalti - spiega Di Pietro - nasce nell’89 e viene depositato nel '91. Racconta la storia di Tangentopoli che io ho scoperto anni dopo, parzialmente. In quel rapporto di polizia giudiziaria a firma Mori, De Donno e altri, c'erano tutti gli estremi non solo per scoprire quello che ho scoperto io, ma anche per scoprire i legami fra l’imprenditoria del Nord e la mafia del Sud, attraverso il coordinamento della politica di Roma».

«La parola trattativa - sottolinea - è un termine che vuol dire tutto e non vuol dire niente. Il patteggiamento è una trattativa. Per sapere che cosa sta combinando la mafia all’interno di un territorio devi parlare con qualcuno che di mafia se ne intende. Il fatto che un pubblico ufficiale parli con qualcuno che tratta di mafia o sta all’interno del sistema mafioso non è atto illegittimo, ma doveroso».

«Altra cosa - aggiunge Di Pietro - è quello che nell’ipotesi accusatoria è stata confermata in primo grado a Palermo. Si discute se componenti dello Stato sono andati a trattare con il sistema mafioso per dire: “guardate vi sconto la pena se smettete di fare attentati”. Vale a dire uno Stato che accetta il ricatto del mafioso, che fa gli attentati per fare in modo che lo Stato faccia delle leggi a lui più favorevoli. Nel caso di specie, in Corte d’Appello e poi definitivamente in Cassazone, è stato riscontrato che il lavoro che è stato fatto da quegli ufficiali di polizia giudiziaria, Mori e gli altri, è stato fatto non per svendere lo Stato, ma per aiutare lo Stato».

«Giuste o sbagliate», per Di Pietro «le sentenze si rispettano. Io rispetto il lavoro degli inquirenti, rispetto il lavoro del giudice che, essendo terzo, si è reso conto che i personaggi di cui stiamo parlando non si stavano vendendo, ma che avevano già sconfitto il terrorismo e che rischiavano la vita tutti i giorni per gli stessi fatti. Ci vuole molta ponderazione nel dare un giudizio negativo su chi voleva condannare e chi ha assolto, è un giudizio che va rispettato in entrambi i casi, entrambe le autorità vanno rispettate perché hanno fatto ognuna il proprio lavoro».

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