«Finalmente una sentenza conferma quello che dico da 30 anni. E cioè che quella di via D’Amelio fu una strage di Stato e non solo di mafia e che l’agenda rossa fu sottratta da uomini dello Stato e non da uomini della mafia». Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso con cinque agenti di scorta, accoglie con favore alcuni passaggi della sentenza del tribunale di Caltanissetta sul depistaggio. Ma sottolinea: «Questa sentenza descrive uno scenario, conferma il depistaggio ma non dice chi sono i colpevoli. Dice che è passato molto tempo ed è quindi difficile risalire ai colpevoli. Per questo mi sento scoraggiato».
Era lo stesso Paolo Borsellino a paventare, secondo il fratello, ciò che accadde in via D’Amelio. «Qualche giorno prima dell’attentato - aggiunge - mio fratello disse alla moglie: "Quando sarà ucciso sarà stata la mafia a colpirmi ma saranno altri ad avere voluto la mia morte". Quegli altri, come ben sapeva, erano pezzi deviati dello Stato». Per Salvatore Borsellino sono ancora significativi i passaggi della sentenza in cui si parla di «amnesie e contraddizioni» dei testi. Cita, tra gli altri, «il caso dell’ex magistrato Giuseppe Ayala che sul passaggio di mano della borsa con l’agenda rossa avrebbe dato varie versioni».
«Per una strage che ha cambiato la storia del nostro paese - conclude - la verità va cercata con ogni mezzo, anche dopo tanti anni. Altrimenti resterà una macchia indelebile nella storia italiana».
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