Resta in silenzio davanti al gip Andrea Bonafede, il geometra di Campobello di Mazara in carcere per associazione mafiosa, l’uomo d’onore riservato che ha prestato l’identità al boss Matteo Messina Denaro, ha acquistato l’appartamento in cui il capomafia si è nascosto nell’ultimo periodo della latitanza e l’ha aiutato a comprare l’auto che utilizzava per i suoi spostamenti.
«L’ho trovato in forma, aspettiamo la conclusione delle indagini» dice l’avvocato del geometra al termine dell’udienza dedicata all’interrogatorio di garanzia.
Un evidente cambio di strategia difensiva rispetto alla prima fase d’inchiesta, quando Bonafede, sentito dagli inquirenti dopo il blitz di lunedì, aveva fatto mezze ammissioni. Verità mischiate a menzogne, sostengono gli investigatori, propensi a credere che il fedelissimo del padrino abbia ammesso solo quel che non poteva negare: come l’aver dato la carta d’identità a Messina Denaro, l’aver comprato per suo conto, con 15mila euro ricevuti dal boss, la casa di vicolo San Vito in cui il capomafia viveva e di avergli dato una mano ad acquistare la Giulietta.
Sul resto, il geometra di Campobello ha raccontato frottole. Ha detto, ad esempio, di conoscere fin da ragazzo il capomafia, ma di averlo perso di vista fino a un anno fa e di averlo incontrato, da gennaio del 2022, solo in due occasioni.
In entrambe Messina Denaro gli avrebbe chiesto aiuto: per curarsi e per trovare un appartamento. E Bonafede l’avrebbe accontentato dandogli la carta d’identità e il codice fiscale utilizzati per le terapie oncologiche e comprandogli casa. Ma le date non tornano perché agli inquirenti risulta che un Andrea Bonafede, di certo non il geometra e quindi il capomafia con i documenti dell’altro, a dicembre del 2020 si è operato all’ospedale di Mazara del Vallo per un cancro al colon. Ciò dimostra che il «prestito» di identità risale almeno a un anno prima di quel che il geometra sostiene.
Continuano intanto le perquisizioni degli investigatori a Campobello di Mazara, alla ricerca di elementi utili per scoprire la rete di fiancheggiatori che hanno favorito la latitanza di Matteo Messina Denaro. Stasera i carabinieri del Ros hanno perquisito l’abitazione degli ex suoceri di Andrea Bonafede, che si trova da lunedì in carcere. I coniugi sono morti anni addietro e la casa risulta disabitata da tempo, in via San Giovanni, a poche centinaia di metri dall’abitazione di Giovanni Luppino e dell’appartamento dove, sino a giugno scorso, avrebbe vissuto Messina Denaro
Il tempo dirà se Bonafede tradirà l’amico e racconterà gli ultimi due anni, almeno, della sua latitanza, o se continuerà a tacere.
Proseguono, intanto, le indagini sulla casa del boss, sul bunker nascosto trovato in casa del fratello di un condannato per mafia, Errico Risalvato, e sull’appartamento di via San Giovanni, sempre a Campobello di Mazara, in cui il padrino avrebbe vissuto prima di trasferirsi nell’ultimo covo. Gli immobili sono stati perquisiti approfonditamente anche con l’uso del georadar che può individuare stanze o locali nascosti.
«Smentiamo che l’immobile sia stato un rifugio di Messina Denaro e che in casa ci fosse un bunker. Quello trovato era un ripostiglio in cui venivano conservati oggetti preziosi della famiglia», dicono gli avvocati Mattozzi e Stallone che difendono Risalvato.
Stamattina è stata perquisita anche la casa di famiglia di Messina Denaro a Castelvetrano. I carabinieri hanno passato al setaccio l’appartamento trovando, oltre a vecchie foto del capomafia, una scatola con i suoi vecchi Ray Ban a goccia, un libro sulla mafia e una bottiglia di champagne.
Il padrino, portato dopo l’arresto nel carcere de L’Aquila, continua a rinunciare alle udienze in cui è imputato: la scorsa settimana quella a Caltanissetta del processo d’appello per le stragi mafiose del ‘92 e oggi quella davanti al gip nel procedimento contro la mafia agrigentina e trapanese. La sua posizione è stata stralciata da quella degli altri imputati perché era latitante.
Con il boss chiuso in carcere, a Campobello di Mazara e Castelvetrano sono stati organizzati altri due cortei contro la mafia, conclusi entrambi a vicolo San Vito, davanti al covo dell’ex super latitante. Tra la gente, anche il vescovo di Mazara del Vallo, monsignor Angelo Giurdanella e il vescovo emerito monsignor Domenico Mogavero.
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