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Libero per un cavillo il boss di Termini Imerese, revocati i domiciliari a Libreri

Giuseppe Libreri

Alla tirata delle somme, secondo i calcoli del suo difensore, ha fatto più carcere di quello che avrebbe dovuto scontare a seguito delle condanne ricevute. Per Giuseppe Libreri, indicato come esponente di spicco della mafia di Termini Imerese, finito in carcere al Pagliarelli il 24 marzo del 2017 nell’ambito dell’operazione Black Cat, è ora scattata la revoca degli arresti domiciliari. La seconda sezione della Corte di appello ha accolto, con un’ordinanza firmata dal presidente Fabio Marino, la richiesta del difensore di Libreri, l'avvocato Ermanno Zancla: è stata quindi ricalcolata la pena, grazie alla continuazione dei reati. E dopo una serie di pronunce, calendario e codice alla mano, ha avuto successo la richiesta della difesa, che ha presentato istanza di estinzione della custodia cautelare e ottenuto la scarcerazione immediata per avvenuta completa espiazione della pena.

Libreri torna quindi libero qualche giorno dopo la scarcerazione per fine pena di un altro personaggio di spicco del clan di Caccamo e Termini Imerese, Diego Rinella.
Su Libreri si era dilungato - una volta diventato pentito - Antonino Giuffrè, l’ex numero 2 di Cosa nostra che aveva svelato come l’imprenditore fosse uno dei suoi più stretti fiancheggiatori. Arrestato il 24 marzo 2017, Libreri era stato messo agli arresti domiciliari il 23 marzo 2020 nel pieno dell'emergenza Covid per una «attenuazione della misura cautelare» (provvedimento confermato malgrado l’opposizione della procura generale). Intanto - come ha ricostruito nella sua istanza l'avvocato Zancla - Libreri il 10 ottobre del 2019 era stato condannato dalla prima sezione della Corte d’appello, «in parziale riforma della sentenza 20 dicembre 2017» del gup Fabrizio Anfuso) alla pena di 13 anni, 10 mesi e 20 giorni di reclusione. Un verdetto ottenuto sulla base della riconosciuta continuazione con due sentenze emesse nel febbraio del 2005 e del marzo 2011. La Corte di Cassazione, in seguito, aveva annullato parzialmente la sentenza rinviando in Appello per un nuovo giudizio: il presupposto era che dovesse essere valutata la sussistenza dell’aggravante del comma 6 dell'articolo 416 bis del codice penale, che prevede un aumento di pena per il caso in cui le «attività economiche intraprese dagli associati siano finanziate con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti». Il giudizio, questa volta pronunciato dalla seconda sezione della Corte (il 4 maggio scorso), riteneva non sussistere questa aggravante e ricalcolava la pena per Libreri: condannato a 11 anni, 2 mesi e 20 giorni di reclusione.

La difesa del boss, nella sua ultima istanza, «faceva rilevare che nel calcolo della continuazione» i giudici, «con la sentenza del 10 ottobre 2019, avevano ritenuto più grave il reato per cui si procedeva rispetto a quelli precedenti posti in continuazione ma che, alla luce della sentenza della Corte di Cassazione e conseguente riforma da parte della Corte di Appello che aveva escluso la sussistenza dell’aggravante e che era invece il reato di cui al procedimento pendente, che andava considerato come meno grave».

In questo senso, secondo l'avvocato Zancla, con «tale sopravvenuta sentenza, bisognava invertire i fattori della cosìddetta “continuazione” (quando cioè i reati “satellite” diventano i reati più gravi e viceversa) e quindi, in applicazione dei principi che regolano continuazione e fungibilità della pena, l’intera pena si doveva considerare già espiata». Davanti alla Corte la Procura generale ha espresso parere contrario alla tesi della difesa di Libreri, ritenendo che restassero da espiare ancora 10 mesi. Ma la pronuncia finale ha dato ragione alla tesi della difesa. «Valuteremo con i nuovi conteggi se vi è stata pena espiata in maggior misura del dovuto e prenderemo gli opportuni rimedi», commenta l'avvocato Zancla.

 

 

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