Meno «eclatanti manifestazioni di violenza», più interessi negli affari a «basso rischio giudiziario». Il presupposto resta il controllo del territorio, certo. Ma soprattutto con la corruzione, il riciclaggio, l'avvicinamento di imprenditori in difficoltà per acquisirne gli asset, «l'inquinamento dell’economia sana».
L’ultima Relazione semestrale della Dia restituisce ancora una volta l’immagine di mafie tradizionali «silenti» e che non si limitano più al «saccheggio parassitario» della rete produttiva «ma si fanno impresa». Una ulteriore conferma della «strategicità dell’aggressione ai sodalizi mafiosi anche sotto il profilo patrimoniale». In sei mesi sono stati effettuati sequestrati per 165 milioni, confische per 108 milioni; 373 interdittive antimafia, 69 mila segnalazioni per operazioni sospette.
Se da un lato l’allarme riguarda i grandi investimenti, come quelli previsti dal Pnrr, occorre preservare dalle mire della criminalità di stampo mafioso anche appuntamenti importanti, come i Giochi Olimpici invernali Milano-Cortina del 2026. La relazione al Parlamento sull'attività del secondo semestre del 2021, a questo proposito, sottolinea la capacità della ’ndrangheta di replicare fuori delle aree di origine lo schema tipico delle organizzazioni calabresi: le indagini hanno invidiato 46 locali, di cui 25 in Lombardia, 16 in Piemonte, 3 in Liguria, una in Veneto, Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige. Emerge la «vocazione affaristico imprenditoriale», con un «modello collaudato» che vede la criminalità organizzata calabrese proporsi a imprenditori in crisi di liquidità, ma si conferma anche il suo ruolo di «leader nel narcotraffico», in quanto «interlocutori privilegiati con le più qualificate organizzazioni sudamericane». Allo stesso modo, la camorra, affianca al racket e al traffico di droga, la capacità di generare ingenti profitti anche tramite attività criminali a «basso rischio giudiziario» - sottolinea la relazione - dai «magliari» del contrabbando al gaming illegale alle truffe telematiche e al controllo degli appalti, fino alla nuova frontiera delle grandi frodi fiscali. Più che per le altre organizzazioni, resiste però la «camorra dei vicoli e delle stese», dei conflitti tra bande che si disputano il controllo dei tradizionali mercati illeciti.
In Sicilia, la Dia registra la convivenza sullo stesso territorio delle organizzazioni mafiose per la spartizione degli «affari» e il riemergere della «stidda», organizzazione storicamente parallela a Cosa nostra, con la quale, soprattutto nella Sicilia orientale sarebbero stati stretti patti di reciproca convivenza. Nella provincia di Trapani, secondo le risultanze della Dia, resta forte il ruolo del superlatitante Matteo Messina Denaro, mentre a Palermo, giovani criminali «forti di un cognome o parentela “di spessore”» si affiancano agli «anziani uomini d’onore detenuti o da poco tornati in libertà».
Per quanto riguarda le altre mafie, la Relazione ipotizza un processo di aggregazione dei clan foggiani, che in qualche modo potrebbero diventare una «cupola», con la creazione di «un organismo comune di vertice anche di tipo collegiale il suo massimo compimento": gli affari sempre più vasti, diversificati e complessi hanno portato infatti la criminalità organizzata foggiana ad orientarsi verso un schema consortile. Qui è ancora più forte l’esigenza di opporle «un’antimafia sociale».
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