Nel 1974 ha avuto rapporti con Roberto Palazzolo, che a quel tempo non era accusato di mafia, attraverso la Campobello Park Corporation di cui era presidente. Dopo circa 20 anni Palazzolo diventò un trafficante di droga e diamanti, «ma non ha più rimesso piede in Sicilia e io non l’ho mai incontrato. Sono stato dipinto come pericoloso, ma non c'è assolutamente alcuna attinenza temporale tra l’acquisizione del patrimonio e questa presunta pericolosità». Lo afferma in una lunga nota Calcedonio Di Giovanni, 73 anni, imprenditore originario di Monreale, ma con interessi economici nella provincia di Trapani al quale ad aprile la Dia ha confiscato in via definitiva beni per un valore di 100 milioni di euro che sono passati allo Stato. patrimonio che nel 2014 era stato quantificato in 450 milioni di euro dalla Dia, per poi essere ridotto, nel 2016, a «soli» 100 milioni.
«Ritengo, però che vada reso noto il reale ammontare del patrimonio immobiliare in poco più di 10 milioni di euro - spiega l’imprenditore-. Una stima effettuata non da me, ma dal dottore commercialista Luigi Antonio Miserendino e dall’avvocato Roberta Paderni, vale a dire i due professionisti nominati dal tribunale per la gestione giudiziaria del sequestro nell’aprile 2015. Di questi 10 milioni di euro, peraltro, il valore reale non supera i 4, dal momento che, ad oggi, una sola società è attiva, le altre sono tutte in liquidazione o fallite».
Quanto alla sua presunta vicinanza o contiguità con la mafia, Di Giovanni chiarisce di non aver mai avuto alcun rapporto e che questa accusa possa essere catalogata «come un romanzo, dal momento che non sono mai stato indagato per mafia, accusato, né tantomeno imputato di nulla - aggiunge -. Ero un imprenditore valente ed affermato già nel 1969, che agiva assieme ad altri, in un gruppo solido e ben avviato con capitale sociale di 100 milioni di lire che per i tempi (1972) erano una cifra considerevole, tanto da poter lasciare l’impiego direttivo regionale».
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