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Borgetto, risarcito con ottomila euro: «Non fu prestanome di boss»

Da sinistra Giuseppe Giaimo, Filippo Scrozzo e Benedetto Valenza

Poco meno di ottomila euro per uno dei due prestanome che tali non erano: Giuseppe Giaimo, 56 anni, era stato assolto dall’accusa di avere coperto Benedetto «Benny» Valenza, intestandosi una quota di una società del paese di cui è originario, Borgetto. Era stato però scagionato nel processo penale, così come lo stesso Valenza e l’altro imputato, Filippo Scrozzo. Ora la Corte d’appello ha disposto per lui la riparazione per l’ingiusta detenzione subita (in realtà era stato agli arresti domiciliari), stabilendo un ammontare di 7.800 euro, per i 52 giorni di «restrizione» ingiustamente patiti, dal 23 aprile al 13 giugno 2014.

Accolta la tesi dell’avvocato Cinzia Pecoraro, che ha dovuto battagliare non poco, visto che una prima istanza di risarcimento era stata rigettata: si era così reso necessario un ricorso in Cassazione, che aveva portato all’annullamento con rinvio della decisione. Il provvedimento favorevole a Giuseppe Giaimo è stato adottato adesso dalla prima sezione della Corte, presieduta da Adriana Piras, a latere Luisa Anna Cattina e il relatore, Riccardo Trombetta.

Il paradosso di questa storia (solo apparente paradosso) è che, pur dopo l’assoluzione in sede penale, Benny Valenza, che è di Partinico, aveva subito la confisca dei beni, ivi compresa una megavilla con piscina. Mentre Giaimo si era rivolto alla giustizia per ottenere la «riparazione». Il primo ricorso era però andato male, perché i giudici avevano ritenuto che l’ex imputato avesse dato causa, col proprio comportamento, alle indagini su di sé e anche alla misura cautelare degli arresti domiciliari. L’assoluzione da parte della quinta sezione del Tribunale era stata emessa tra l’altro, nel febbraio 2019, con la formula un tempo dubitativa, cancellata dalla riforma del 1989.

Da questa considerazione e da una serie di atti processuali il diniego del risarcimento, poi cassato dalla Suprema Corte, che aveva imposto un ulteriore vaglio. La prima sezione della Corte d’appello, nella nuova ordinanza, osserva che in effetti da alcune conversazioni telefoniche del 2012 Valenza si comportava come se fosse stato lui il padrone della società formalmente intestata a Giaimo. Ma la circostanza era stata ritenuta infondata dal tribunale, tre anni e mezzo fa: il collegio non aveva ritenuto che il comportamento dell’imprenditore e di Scrozzo fosse stato illecito.
Valenza, peraltro, non è mai stato condannato in sede penale ma era (ed è) sottoposto a una misura di prevenzione e per questo non poteva esercitare attività imprenditoriale in prima persona.  Nel dibattimento di merito i difensori dei tre imputati (oltre all’avvocato Pecoraro c’erano anche gli avvocati Giuseppe Rao e Luca Inzerillo) avevano sostenuto che mancassero gli elementi di riscontro alle ipotesi della Procura.

Al centro della vicenda c’era stato un primo arresto di Valenza per i lavori col cemento depotenziato al porto di Balestrate: rimesso in libertà a luglio 2012, secondo l’accusa, era tornato subito a operare nel suo settore, quello del calcestruzzo, convincendo un imprenditore a rinunciare alla fornitura da parte di una ditta di Carini, grazie all’offerta di un prezzo più vantaggioso dell’Euro Calcestruzzi di Filippo Scrozzo. Giaimo era titolare di una quota minoritaria della stessa azienda di Borgetto, di cui, pur non essendone il proprietario - secondo i carabinieri - di fatto «Benny» sarebbe stato il gestore. L’operazione era stata denominata Benny 3, prosecuzione di Benny e Benny 2, sempre con Valenza al centro, arrestato a giugno 2009 e di nuovo nel giugno di tre anni dopo.

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