Ha solo quindici anni, è nata in città, dove gira senza problemi grazie anche al suo viso da ragazzina non ancora adulta, che la fa sembrare una delle tante anonime sue coetanee. Il suo nome è finito tra gli indagati nell’inchiesta sulla baby gang della movida - condotta dalla Procura del tribunale, dalla Procura dei minori e dalla polizia - che sabato ha portato agli arresti 11 ragazzi. «Presa a solo» - come si dice in gergo - non fa notizia: ma quando riesce a circondarsi del suo gruppo di giovanissimi diventa una picchiatrice senza pietà, le vittime preferite sono altre ragazze come lei. È una del gruppo di minorenni, tra ragazze e ragazzi, coinvolti nel giro delle violenze: colpi di bastone, bottiglie di vetro con il collo rotto e diventate quindi micidiali armi, calci e pugni serviti per imporre la loro visione della vita («Qui siete nella nostra zona, ci dovete dare i soldi, vi ammazziamo, siete morti...»). Hanno minacciato, cercato di spingere al silenzio, ferire chi per caso finiva sotto le loro grinfie, a pugni e calci e usando per fare del male persino i caschi che si indossano quando si va in moto. Una realtà - quella delle bande composte da ragazzine oltre che da ragazzini - finita al centro dell’attenzione degli inquirenti dopo una serie di episodi verificatisi dalle piazze principali della città - il Politeama, il Massimo - fino alla residenziale viale Strasburgo. In Procura e in procura dei minori - guidate dai magistrati Marzia Sabella e Claudia Caramanna - il pool di giudici che si occupa di questo particolare tipo di reati sta cercando di ricostruire le responsabilità di diversi episodi di violenza registratisi nei mesi scorsi. Potrebbero essere tutti collegati a quelli commessi dalla gang fermata sabato. Agli atti delle indagini ci sono anche diversi video finiti su Tik Tok e su Instagram. Ma anche filmati girati e diffusi in un batter d’occhio nelle chat di WhatsApp: pare che durante alcuni pestaggi, la ragazza indagata nell’inchiesta sul gruppo che si riconosceva nell’account «Arab Zone 90133», veniva ripresa e incitata alla violenza da altri coetanei che poi provvedevano a diffondere i video che documentavano la scena. Un supporto alle gesta criminali di «Arab Zone 90133» - è la riflessione che fanno alcuni addetti ai lavori - che finisce per potenziarne il carattere violento, nel falso mito dell’impunità. Ma c’è un altro elemento che salta agli occhi: pare che su Instagram ci sia qualche messaggio che richiama gli arresti di questi giorni, con una considerazione: «È brutto avere i tuoi amici dentro...». A loro, «amici» di chi con violenza e senza curarsi del rischio di finire comunque nelle maglie della giustizia, pesa persino la consapevolezza di «restare soli». Quasi la nostalgia del branco che è agli arresti domiciliari. In attesa dell’agognata riconquista della libertà. Oggi davanti al giudice delle indagini preliminari compariranno i 6 maggiorenni e i 5 minorenni, figli di nordafricani nati tra Tunisia e Marocco, ma anche in città, accusati delle ripetute violenze di cui si sarebbero resi protagonisti tra il il 7 gennaio e il 15 giugno.