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Accordo tra Karol e Fondazione Betania per la gestione in Calabria di case riabilitazione e la fragilità

Il presidente Karol Marco Zummo (a destra) con padre Piero Puglisi

Sedici strutture sanitarie, riservate al settore della riabilitazione e delle fragilità, dislocate a Reggio Calabria, saranno gestite dal gruppo Karol insieme alla Fondazione Betania, tramite la costituzione dì una Newco per il rilancio della struttura. È quanto prevedere l'accordo siglato dal presidente Marco Zummo con la Fondazione Betania, storico punto di riferimento per la regione Calabria nel settore della riabilitazione, con oltre quattrocento dipendenti e circa quattrocentocinquanta posti letto accreditati e che prevede anche attività ambulatoriali e centri diurni.

Un ulteriore tassello importante nell'ambizioso progetto di crescita che il presidente Zummo si è prefissato con la Karol, eccellenza sanitaria nel settore della fragilità che rappresenta l’unica realtà siciliana che varca i confini della Regione ed esporta il proprio know how in ambito sanitario in Italia. Ma il presidente non vuole fermarsi e punta ancora più in alto, infatti c'è in cantiere un ulteriore investimento su Roma per settantasei posti accreditati sull’alzheimer e in Piemonte sta avviando la realizzazione di un Villaggio Alzheimer.

«Con la Fondazione Betania - spiega Zummo - la Karol ha realizzato una partnership per il rilancio della struttura con la realizzazione di nuove attività anche nel campo della ricerca e della formazione e l’obiettivo è quello di realizzarne un Irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico). Siamo impegnati a realizzare - continua - centri di eccellenza in Italia nel campo delle fragilità ed è particolarmente gratificante e significativo partire dalla condivisione di valori fondamentali comuni cosi come nel caso della Fondazione Betania. Riteniamo che non c'è cura adeguata senza un'umanizzazione dei servizi che si offrono, che devono partire dai bisogni della persona e dal rispetto della storia e della dignità di ciascuno. Le nostre strutture sono comunità di persone aperte all’esterno in una logica di integrazione umana e sociale».

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