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Palermo, il tesoro di Patatone accumulato con la droga

L'arresto di Paolo Dragotto il 21 maggio 2019

I sigilli della polizia su un patrimonio complessivo da un milione di euro, parte del tesoro di Paolo Dragotto, detto Patatone, indicato come figura di spicco del traffico di droga che si diramava da Cruillas, e di Paolo Di Maggio e Michele Spartico, coinvolti con lui nell’operazione Blacksmith del 21 maggio 2019. Gli agenti della divisione Anticrimine hanno eseguito il provvedimento della sezione misure di prevenzione del Tribunale con il quale, su proposta congiunta della Procura e del questore, viene disposto il sequestro per un panificio in via Brunelleschi, due beni immobili, tre motocicli, due auto, otto conti correnti bancari e un libretto di risparmio, per un valore complessivo stimato di circa un milione di euro. Un sequestro che arriva dopo la sentenza emessa dal Gup l’8 marzo dello scorso anno, in cui a Dragotto era stata inflitta una condanna a 20 anni di carcere; di poco inferiore, 18 anni, la pena per Di Maggio, mentre Spartico si era visto comminare 7 anni.

«Traendo spunto da tali emergenze investigative, l’ufficio misure di prevenzione patrimoniali della locale Divisione anticrimine - fa sapere la polizia - ha condotto indagini patrimoniali» nei confronti dei tre condannati e delle loro famiglie, «accertando una sproporzione tra gli acquisti effettuati ed i redditi percepiti, a conferma dell’utilizzo di risorse finanziarie di natura illecita in attività formalmente lecite». Un provvedimento che «conferma il valore della sinergica attività, condotta congiuntamente dal procuratore della Repubblica e dal questore, entrambi titolari del potere di proposta dell’applicazione di misure di prevenzione, volta a restituire alla comunità i beni illecitamente accumulati dalle organizzazioni criminali che operano nel territorio».

Il panificio e il prestanome

Per gli inquirenti Dragotto e Di Maggio rivestivano «le posizioni apicali... nell’ambito dell’associazione criminale» che gestiva i traffici di hashish e cocaina, importati dalla Campania e poi distribuiti in città e a Trapani. Contro Spartico, che sarebbe stato scelto perché «persona fidata e incensurata», l’accusa di intestazione fittizia dei beni: sarebbe stato il prestanome del panificio-rosticceria La bottega dell’Angolo di via Brunelleschi 36. In realtà i proprietari veri sarebbero Dragotto e Di Maggio e, finendo in carcere, avrebbero potuto cedere l’attività, scrive il gip, proprio in previsione di un sequestro.

«Patatone attummuliò...»

Dragotto prima di quel blitz del 2019 aveva subito pure un maxi-sequestro di stupefacenti. In una conversazione intercettata il 30 gennaio 2018, le conferme a quanto gli investigatori sospettavano già rispetto al carico di hashish e cocaina bloccato appena 12 giorni prima. Il dialogo è fra Rubens D'Agostino e Antonino Micciché e finirà nelle carte dell'operazione Cupola 2.0. «Minchia lo hai sentito quello - rivela D'Agostino -, il patatone, due milioni di euro ha perso». «Chi è il patatone?» «Paoluzzo Dragotto, attummuliò a Carini 1.500 chili». «Di lui era?», chiede Micciché e D’Agostino conferma: «E di chi era? Due milioni. Parola mia d'onore, due milioni di euro ti giuro a mia madre... i soldi ... 1.500 chili di fumo e 10 chili di cocaina». «Ma lui li ha persi?» «e chi li ha persi ‘sta minchia?... Ma vedi che lui quando sale là sopra diciamo noi altri è il papà». Micciché s'informa: «Ma se la piazza lui?», e D’Agostino spiega: «Hanno la "cosa" in tutta Palermo... ma che è ricco... minchia... è che "macina" da una vita».

La rete di Di Maggio

Affari e precauzioni nella regola di Di Maggio che ai suoi contatti avrebbe fornito telefoni puliti, intestati a pachistani e difficilmente riconducibili a lui. Così pensava... Proprio uno dei suoi contatti avrebbe poi rivelato agli inquirenti di aver ricevuto «in un primo momento, in occasione di altre consegne, un primo telefono cellulare gsm, di colore nero e successivamente, un secondo cellulare gsm di colore bianco».

Il rifornimento e i soldi

I summit del gruppo avvenivano, non a caso, in un impianto di carburante, e nell’ordinanza il gip aveva rilevato come «oltre ad essere il luogo ove erano soliti incontrarsi Marchese con Dragotto e Di Maggio per effettuare i conteggi, era anche il punto di raccolta del denaro che veniva consegnato dai vari pusher per le cessioni di stupefacente nonché il luogo ove era detenuta la cassa dell'associazione». Ma c’è un motivo preciso, secondo l’accusa, per cui la cassa della banda si trovasse proprio lì. «Sfruttando la particolarità dell'attività esercitata che permette raccolta di un notevole flusso di denaro in contante - scrive il giudice -, deve ritenersi che la società sia utilizzata per l'attività della associazione ed in particolare per consentire alla stessa confondere il denaro di provenienza illecita con quello di provenienza lecita».

Poltrone e contanti

Le intercettazioni avevano svelato il giro d’affari della banda e il volume dei contanti che maneggiava il cassiere. Un’indagata, aveva scritto il gip «che chiedeva se i 100 mila da non conteggiare, perché di Paolo, doveva metterli in un pacco oppure lasciarli occultati nella poltrona ed a tal proposito testualmente proferiva: “questi 100 li dobbiamo mettere da parte... se tu vuoi... li lasciamo nella poltrona... o facciamo un pacco unico... e li mettiamo qua... altrimenti li lasciamo nella poltrona...”». Secondo la ricostruzione dell’accusa, il Paolo menzionato era Paolo Dragotto e sempre lo stesso nome compare in una conversazione in cui si diceva che Paluzzo, non avrebbe mai perdonato uno «sgarbo» e fanno capire che tipo di cifre era abituato a maneggiare.

C’era chi era suo debitore «di 150, si ritiene 150 mila euro - hanno sostenuto gli inquirenti -, e che il debito gli era stato condonato, ma il soggetto a nome Paolo (che non nominava) gli aveva richiesto in cambio la corresponsione della somma di mille euro al mese alla moglie nel caso del suo arresto». E una donna commentava: «... ti immagini va a finire in galera mentre abbiamo qualche 500 mila euro... qua dentro...». Parole che vengono sottolineate in questo modo dal giudice: «Tale affermazione, non bisognevole di altri commenti, rende chiaramente l'idea delle ingenti somme dì denaro che custodivano nella propria abitazione nell'interesse di Paolo Dragotto, cui facevano indubbio riferimento».

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