Il giovane architetto denunciò il pizzo e in meno di 8 mesi si è arrivati al processo. Giustizia rapidissima questa volta nei confronti di due presunti estortori della Vucciria, l'antico quartiere di Palermo. Per Riccardo Meli e Orazio Di Maria (conosciuto anche come «Massimo»), la procura ha chiesto e ottenuto il giudizio immediato e poi gli imputati hanno scelto il rito abbreviato. La prima udienza è prevista il 2 novembre davanti al gup Giuliano Castiglia. I due vennero arrestati lo scorso 11 marzo grazie alla collaborazione del professionista e alle indagini condotte dalla guardia di finanza, coordinate dai pm della direzione distrettuale antimafia.
Il primo ad essere fermato fu Meli, tra l’altro nipote acquisito del boss di Porta Nuova Tommaso Lo Presti, bloccato praticamente con i soldi del pizzo in tasca. Poi toccò a Di Maria, secondo la ricostruzione dell’accusa nel suo locale della Vucciria si erano svolti molti degli incontri finalizzati a convincere il professionista a pagare il pizzo a Meli. Il pub riconducibile a Di Maria, «Il Ritrovo» di via Maccheronai, proprio di fronte alla storica Taverna Azzurra, è stato sequestrato in via d’urgenza a seguito delle indagini patrimoniali del Gico. Anche Di Maria ha parentele di peso, il padre Enzo detto «u capuni», deceduto, era ritenuto affiliato alla cosca di Porta Nuova e condannato per associazione mafiosa ed estorsione aggravata. Per gli inquirenti Orazio Di Maria, non solo avrebbe «ospitato» quegli incontri - molti dei quali intercettati, dopo la denuncia dell’imprenditore non ancora trentenne - ma avrebbe avuto un ruolo attivo, da «regista» di quel taglieggiamento. Per entrambi l’accusa è di estorsione aggravata dal metodo mafioso, perché nella «trattativa» con il costruttore avrebbero provato entrambi a convincere la vittima non nascondendo l’interesse dei clan nella vicenda.
Al processo si costituirà parte civile l’architetto, assistito dall’avvocato Maria Luisa Martorana.
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