Gli estorsori? «Parassiti». La mafia? «È finita, invito mio fratello Giovanni a collaborare come faccio io». Vito Galatolo? «Un ubriacone da taverna». Il pentito Francesco Onorato? «Ha raccontato fesserie».
È il Gaetano Fontana show. Parla per 4 ore di fila il boss dell’Acquasanta di Palermo che sostiene di avere rotto con il suo passato di mafia. È solo un dichiarante, sottolinea la procura e in effetti ieri mattina nella bollente aula bunker dell’Ucciardone (intorno ai 35 gradi, aria condizionata inesistente) ha dichiarato molte cose - scrive Leopoldo Gargano sul Giornale di Sicilia in edicola -. Ad iniziare dagli esattori del racket, che lui chiama «parassiti», un modo per rimarcare la sua, attuale, lontananza con la mafia.
Interrogato dal suo legale che aveva chiesto la deposizione, l’avvocato Monica Genovese, ha parlato dalle 10,30 fino ad oltre le 14 in un’aula piena di imputati e difensori, al processo nato dall’operazione «Mani in Pasta» che si celebra con il rito abbreviato davanti al gup Simone Alecci contro un’ottantina di presunti mafiosi, fiancheggiatori e prestanome della cosca dell’Acquasanta, dove i Fontana ed i loro cugini Galatolo hanno dettato legge per anni.
Fontana davanti al giudice ha fatto l’elenco di tutte le attività controllate dalla sua famiglia. Un lungo elenco di bar, tabaccherie, negozi, immobili, con relativi prestanome. Attività che il dichiarante, sempre a suo dire, avrebbe cercato di vendere, per troncare qualsiasi rapporto con la città. «Non mi interessava più nulla di tutto questo - ha detto -. Volevo vivere al Nord, qui venivo solo a riscuotere le pigioni. Le estorsioni? I Fontana sono stati sempre contrari, chiedere il pizzo ad un negoziante del quartiere, ci avrebbe fatto perdere il consenso».
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