Una sentenza della quinta sezione civile del Tribunale di Palermo ha dato ragione alla curatela dell’Amia (ex partecipata che si occupava della racconta dei rifiuti nel capoluogo siciliano, poi sostituita dalla Rap) e ha condannato il Comune di Palermo al pagamento di 51,1 milioni di euro. «È l’ennesima tegola che cade sulla testa dell’amministrazione comunale: il bilancio era già in squilibrio strutturale - dice Iv - e questo pronunciamento non fa che aggravare una situazione già critica, mettendo letteralmente in ginocchio i conti dell’ente che non ha le somme per farvi fronte».
«Quando Italia Viva ha invocato un 'governo dei migliori' che mettesse insieme forze diverse per il bene della città, ha ricevuto solo sberleffi da parte di chi sembra vivere su un altro pianeta: la realtà è che Palermo è in enorme difficoltà e ha bisogno di uno sforzo collettivo che vada oltre gli steccati per evitare il fallimento. Italia Viva continuerà comunque a lavorare in consiglio comunale nell’interesse della città», conclude il coordinamento provinciale di Iv.
La condanna del Comune di Palermo, che dovrà risarcire la curatela fallimentare dell’Amia (difesa dall’avvocato Guido Benfante), è stata emessa dal tribunale civile, presieduto da Caterina Ajello e composto dai giudici Claudia Turco e Andrea Illuminati. La curatela dovrà ricevere 56,8 milioni, 51,1 dei quali dal Comune.
Il resto è in capo agli ex amministratori dell’Amia Vincenzo Galioto, Angelo Canzoneri, Paola Barbasso Gattuso, Orazio Colimberti, Giuseppe Costanza e Antonio Giuffrè (fino alla concorrenza dell’importo di 6 milioni); Bernarda Cristina Palermo fino a 347 mila euro; Maria Camillo Segreto, Elide e Vito Triolo fino alla concorrenza di 2 milioni. «Una sentenza di primo grado - dice l’avvocato Bonfante - arrivata dopo una causa iniziata nel 2013».
Secondo la curatela c'erano dei crediti maturati nei confronti del Comune per il servizio di gestione rifiuti e igiene ambientale, oltre che per quello di manutenzione delle strade effettuati in base a un contratto del 2011. «Operazione - scrive il giudice nella sentenza - del tutto contraria agli interessi di Amia» su cui sarebbe mancata la vigilanza del Comune.
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