«Non sussiste alcuna prova che consente di collegare la trattativa Stato-mafia con la deliberazione della strage di Via D’Amelio». Lo scrive la corte d’assise d’appello di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza del cosiddetto processo Borsellino quater, che ha condannato all’ergastolo per la strage di Via D’Amelio i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino e, per calunnia, i falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci.
Secondo i giudici, dunque, la decisione di eliminare il magistrato, ucciso con la scorta nel 1992, non avrebbe alcun rapporto con la trattativa che pezzi dello Stato avrebbero avviato con i clan dopo l’attentato al giudice Giovanni Falcone.
La tesi che Borsellino sarebbe stato ucciso perché avrebbe scoperto l’esistenza della trattativa è stata sostenuta dalla corte d’assise di Palermo che ha celebrato il processo sul dialogo tra pezzi delle istituzioni e clan. Il delitto, secondo la corte nissena, invece, rientra nella strategia stagista della mafia dettata da finalità di vendetta.
"Cosa nostra aveva deciso di uccidere il giudice Paolo Borsellino fin dagli anni '80", ritiene la corte d’assise d’appello di Caltanissetta. Il piano della mafia di eliminare il magistrato dunque risaliva agli anni '80 quando le indagini condotte da Borsellino sull'omicidio del capitano Basile inchiodarono alle loro responsabilità mafiosi di prima grandezza come Pino Leggio e Giacomo Riina.
I progetti delle cosche però non vennero portati a termine, fino a quando, con la conferma in Cassazione delle condanne del maxiprocesso, Cosa nostra decise di compiere il suo piano. La sentenza del maxi dunque «diede vita ai propositi vendicativi» dei boss nei confronti di nemici storici di Cosa nostra come Falcone e Borsellino.
«Nei confronti del giudice Borsellino, Riina e tutta la fazione corleonese aveva iniziato a nutrire rancore quando Borsellino si era occupato negli anni ottanta, insieme al Capitano Emanuele Basile, di indagini che li avevano toccati da vicino (pervenendo all’arresto di Pino Leggio e di Giacomo Riina). Dopo l’omicidio del Capitano Basile (il 4 maggio 1980) il giudice Borsellino aveva emesso i mandati di cattura nei confronti dei responsabili (fra i quali Francesco Madonia e Giuseppe Madonia)». E’ quanto scrivono i giudici nelle 377 pagine delle motivazioni della sentenza del Borsellino quater.
«Ancora il giudice Borsellino, insieme al giudice Falcone, insieme ad altri colleghi dell’Ufficio Istruzione di Palermo - proseguono i giudici - aveva curato le indagini che avevano condotto al Maxiprocesso, nato dall’idea che, stante il carattere unitario e fortemente centralizzato dell’organizzazione criminale Cosa Nostra, ogni delitto riconducibile a detta organizzazione criminale dovesse essere considerato come l’anello di una lunga catena, e non già come un episodio a sè stante. Peraltro, l’accentramento delle indagini in un unico 'pool' di magistrati, all’interno del quale potessero venire condivise le informazioni apprese da ciascuno dei suoi componenti durante lo svolgimento delle indagini, rispondeva all’idea che si dovesse evitare la dispersione delle energie investigative in tanti diversi procedimenti e fosse più opportuno concentrarli in un unico processo. Prendeva così avvio il Maxiprocesso nei confronti di Abbate Giovanni 205 + 365, nel quale un ruolo portante era indubbiamente costituito dalle dichiarazioni di Tommaso Buscetta».
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