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Mafia, confermato a Palermo il dissequestro dei beni degli imprenditori Niceta

La Sezione misure di prevenzione della Corte d’Appello di Palermo ha confermato il dissequestro dei beni degli imprenditori Niceta, un tempo proprietari di un impero nel campo del commercio di abbigliamento e di edilizia e oggi titolari di aziende ridotte ai minimi termini da anni di blocco e di affidamento alle amministrazioni giudiziarie.

Il collegio presieduto da Aldo De Negri, a latere Luciana Caselli e Sabina Raimondo, dopo avere già respinto la richiesta di sospensione del provvedimento "restitutorio" del Tribunale, ribadisce pure il no alla richiesta di confisca del patrimonio dei fratelli Massimo, Piero e Olimpia Niceta, figli di Mario, la cui natura di "imprenditore mafioso", contiguo a Cosa nostra, era stata comunque affermata dal Tribunale. I giudici di secondo grado escludono però che la stessa qualità possa essere riconosciuta ai figli.

Il finanziamento, da parte del genitore, dell’inizio delle attività imprenditoriali dei «proposti», non è avvenuto con risorse derivanti dalle attività economiche illecite ottenute dallo stesso genitore. Quest’ultimo era stato descritto come "appartenente, anche se pacificamente non partecipe, al sodalizio mafioso", ma è morto sei anni fa e con la liquidazione delle società Cater Bond e Parabancaria Consulting, avvenuta tra il '99 e il 2000, non avrebbe più assicurato sostegno alle attività economiche dei boss.

"L'insussistenza di un compendio indiziario sufficiente a supportare un giudizio di pericolosità qualificata nei confronti di Piero, Massimo e Olimpia Niceta - scrive ora il presidente-estensore De Negri - esime questa Corte dall’esaminare le ulteriori censure formulate dagli inquirenti appellanti relativamente al rigetto della misura patrimoniale".

La Corte riporta e condivide un passaggio delle motivazioni di primo grado: "Se si è registrata - si legge nel decreto - una contiguità con ambienti mafiosi e una cultura imprenditoriale che non ha disdegnato la ricerca di 'corsie privilegiatè offerte dagli stessi ambienti mafiosi (peraltro solo per aspetti marginali, come la scelta di punti-vendita delle dimensioni e della collocazione preferite), la mancata dimostrazione di uno specifico contributo in favore delle attività del sodalizio degrada il quadro complessivo a quello di un interessante (ma allo stato non sviluppato o non riscontrato) spunto investigativo, o a un contesto connotato dal rischio di assoggettamento mafioso (allo stato delle acquisizioni, però, non verificatosi o non scoperto). Scenari questi che non possono supportare un giudizio di pericolosità per appartenenza mafiosa". AGI

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