Sono trascorsi 40 anni dalla strage di Ustica e il mistero non è stato mai risolto. Il 27 giugno 1980, alle 20,59, il Dc-9 Itavia, in volo da Bologna a Palermo, esce dallo spettro dei radar per poi inabissarsi nelle acque del Mediterraneo. Ci sono 81 vittime: 4 uomini dell’equipaggio e 77 passeggeri tra donne, uomini e bambini. Due di loro hanno meno di due anni. Erano di ritorno in Sicilia o in viaggio per andare in vacanza: nessun sopravvissuto. Alle prime luci dell’alba il mare restituisce, con alcuni primi rottami del veivolo, anche 42 corpi galleggianti. Il pilota è riuscito a pronunciare solo uno spezzato "gua". Dopo mesi le ipotesi rimangono solo 2: a far precipitare il Dc-9 Itavia è stata un'esplosione di un ordigno o per l’impatto con un missile? Almeno fino al 1986 il quesito rimane in sospeso, irrisolto.
Alla fine del 1983 analisi chimiche sui resti del Dc-9 rivelano la presenza di esplosivo e questo prova permette l’origine dolosa del disastro e, quindi, il magistrato formalizza l’inchiesta giudiziaria per «disastro aviatorio» e «per strage contro ignoti». Nel 1986 c'è l’appello del «Comitato per la verità su Ustica», appena costituitosi e guidato dall’ex Presidente della Corte Costituzionale Francesco Bonifacio e composto da alte personalità politiche come il sociologo Franco Ferrarotti, il vicepresidente di Palazzo Madama Adriano Ossicini e i deputati Antonio Giolitti (Psi), Pietro Ingrao (Pci), Pietro Scoppola (Dc) e Stefano Rodotà (Sinistra indipendente), rivolge al Presidente della Repubblica Francesco Cossiga affinchè ponga fine ad un silenzio sulla vicenda ritenuto «intollerabile». L’appello raggiunge l'effetto di innescare un meccanismo di tipo politico-istituzionale che induce il governo Craxi a stanziare i fondi necessari alle costosissime operazioni di recupero (12 miliardi di lire la valutazione) della carcassa del Dc-9 Itavia, ritenute da più parti indispensabili per poter stabilire le cause effettive dell’incidente. L’avvio al recupero del relitto comincia il 29 aprile 1987 e il 31 agosto 1991 emergono i primi rottami portati a galla dalla ditta Winpol.
Nei primi sei anni dell’inchiesta viene fuori anche l’ipotesi del «cedimento strutturale» dell’aereo, tesi che si trasforma anche in una campagna contro la compagnia aerea Itavia. L’unico giornale che a poco più di quaranta giorni dall’inabissamento del DC-9, e dopo dieci giorni dalla strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, è in grado di scrivere della presenza di «tracce sospette» sulle registrazioni di volo dell’aereo Itavia è il «Corriere della Sera» per la firma di Andrea Purgatori, il giornalista d’inchiesta con Master alla scuola di giornalismo della Columbia University, che lega la propria brillante carriere proprio al «caso Ustica» fino a sceneggiare il film «Il muro di gomma» del regista Marco Risi, nelle sale il 27 giugno 1991, undicesimo anniversario. Il 10 agosto 1980 Purgatori scrive infatti che mentre «i giorni passano quello che si riesce ad accertare sposta il campo di indagine sempre più sulla prima possibilità».
A rafforzare l’ipotesi della collisione subentra un altro misterioso incidente aereo, di cui si ha notizia a poche settimane da Ustica, e che vede il ritrovamento il 18 luglio, sui monti della Sila in Calabria, di un Mig libico caduto e con a bordo il corpo esanime del pilota. Si pensa che l’aereo possa essere coinvolto nella collisione con il Dc-9, ma poi l’inchiesta viene chiusa presto e le cause dell’incidente attribuite all’esaurimento del carburante o al malore del pilota. Ed è in occasione del primo anniversario della tragedia che il «Corriere» svela che «un oggetto misterioso incrociò in volo il DC-9 Itavia sostenendo che quella sera l’aereo di linea non era 'solo'» sulla rotta Bologna-Palermo e ravvisa anche il problema reale è la presenza di un «buco di otto minuti» nelle registrazioni radar dopo l’esplosione. Cioè il nastro magnetico nella base Aeronautica di Marsala viene sostituito. La giustificazione ufficiale è che la sostituzione serve «a fare addestrare alcuni allievi». Ed è per questo motivo che diventa dirimente «recuperare il relitto o almeno fotografarlo». Sui resti della carlinga vi potrebbe essere la risposta. Sarà poi una video-inchiesta della Bbc, nell’agosto 1982, a far emergere l’ipotesi che il volo Itavia sia stato interrotto da un missile libico.
Quella del missile, più che un’ipotesi, diventa una certezza. E nel quinto anniversario della tragedia del Dc-9, Giannina Bonfietti, moglie di Alberto, un veneziano precipitato e scomparso con gli altri 80 passeggeri, invia tramite l’avvocato Romeo Ferrucci una diffida al Presidente del Consiglio Craxi affinchè entro 60 giorni renda note le risultanze di quanto è emerso sulle responsabilità della caduta dell’aereo.
Nell'aprile del 1987 viene avviata la campagna per il recupero della carcassa dell’Itavia. Il 14 giugno il leader dell’opposizione libica che si trova all’estero, Abdel Amid Bakkush, indica il capo di Stato libico Gheddafi come il responsabile della strage di Ustica quale ritorsione per gli arresti compiuti in Italia nel 1980 nei confronti di suoi agenti e a febbraio 1988 si costituisce a Bologna l’"Associazione parenti delle vittime della strage di Ustica», la cui presidente è Daria Bonfietti, sorella del veneziano Alberto. Il 14 novembre Gheddafi, nell’occasione della visita a Tripoli del presidente della Regione Sicilia Nicolosi, accusa invece gli Stati Uniti d’aver sparato il missile che ha abbattuto l’Itavia. Gli Usa respingono. Ma proprio una delle ipotesi prese in considerazione sull'abbattimento del Dc-9 racconta che la colpa possa attribuirsi a due Mig libici di scorta all’aereo in cui a bordo c'è proprio Gheddafi, in viaggio verso Belgrado. Per nascondersi sotto la traccia del radar del volo Itavia in un cielo tutelato dalla Nato, quindi ritenuto ostile, sbagliando l’allineamento della distanza del volo passeggeri ci si scontra, abbattendolo.
L’11 giugno 1989 il giudice istruttore Bucarelli emette 23 avvisi di reato nei confronti di ufficiali e sottoufficiali dell’Aeronautica militare in servizio nelle basi radar di Licola e Marsala la sera della tragedia per i reati di falsa testimonianza, favoreggiamento personale aggravato, concorso in distruzione di atti veri ma l'anno dopo Gheddafi torna a parlare del Dc-9 dicendo che è stato abbattuto dagli Usa nel tentativo di ucciderlo. Il 20 giugno dello stesso anno, mentre Cossiga riceve al Quirinale i famigliari delle vittime, Fulvio Martini, il capo del servizio segreto militare, il Sismi, avanza dei sospetti sui servizi segreti di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna nel corso di un’audizione alla Commissione stragi.
L’11 luglio, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giuliano Amato accusa il giudice Bucarelli, che si occupa dell’inchiesta giudiziaria, di avergli mostrato alcune foto del relitto del Dc-9 scattate dagli americani prima che l’areo venga recuperato e di non averle acquisite come prova. Bucarelli si dimette dall’inchiesta. Al suo posto il 23 luglio subentra il giudice istruttore Rosario Priore. Il 9 settembre la procura di Roma decide di sottoporre per rogatoria alcune domande ad ufficiali americani, tra cui anche all’ammiraglio James Flattely che nel giugno 1980 comanda la portaerei Usa Saratoga, attraccata proprio al largo del porto di Napoli al momento della tragedia di Ustica, per sapere se quella sera vi sono state manovre militari.
Il 14 febbraio 1991 il giudice Rosario Priore convoca a Cosenza 130 persone per interrogarle sul caso del Mig libico abbattuto e precipitato sulle alture della Sila, in Calabria, dopo aver incaricato alcuni mesi prima una perizia sulle cause della sua caduta con la quale ha ritenuto di dover riaprire il caso. L’11 luglio, vengono avvistati i resti di un missile nel mare di Ustica da parte di una ditta incaricata del recupero dell’aereo inabissatosi. La foto è scattata nei fondali, ma l’ambasciata Usa nega ancora la presenza nel Tirreno di un’unità navale o aerea della VI flotta al momento della tragedia del Dc-9. 18 luglio, recuperata la scatola nera del Dc-9 che viene inviata a Londra per la decrittazione. 10 settembre, il giudice Priore fa scattare le prime incriminazioni: sono sei i nuovi indiziati, tra cui un generale e tre ufficiali dell’Aeronautica. Reati ipotizzati: calunnia, falsa testimonianza, favoreggiamento. 5 ottobre, «traffico aereo intenso": la trascrizione delle telefonate tra i Centro radar di Martina Franca e le postazioni di Ciampino, Palermo e Marsala segnalano anche la presenza di una portaerei, ma il Pentagono smentisce trattarsi di unità aeronavali Usa.
L’8 dicembre, Priore e i Pm dell’inchiesta volano a Washington per interrogare alcuni testimoni, tra i quali Richard Coe, ex addetto militare dell’ambasciata Usa di via Veneto a Roma. E, ancora, l’ammiraglio Flatley, ex comandante della Saratoga all’epoca dell’abbattimento del Dc-9 Italia. E’ il 15 gennaio 1992, Prore invia nove comunicazioni giudiziarie ad altrettanti generali dell’Aeronautica ipotizzando il reato di «attentato contro gli organi costituzionali e contro le assemblee regionali», con l’aggravante di altro tradimento e falsa testimonianza, reati previsti dall’art. 77 del codice penale militare di pace. 16 gennaio, il ministero della Difesa non sospende subito gli ufficiali incriminati, ma nei provvedimenti del giudice Priore la presidenza del Consiglio figura parte lesa. Palazzo Chigi valuta l’opportunità se costituirsi o meno parte civile contro i generali dell’Aeronautica. Il 18 gennaio il ministero della Difesa francese fa sapere di non avere l’intenzione di commentare le affermazioni che chiamano in causa un caccia dell’aviazione francese nel caso di Ustica.
Il 24 gennaio, l’Associazione dei parenti vittime di Ustica invia una lettera al presidente del Consiglio Andreotti chiedendo al governo di costituirsi parte civile per la punizione dei responsabili della strage del Dc-9 e di quanti hanno occultato la verità. Il governo non si costituisce, ma nomina un avvocato per la tutela dei propri interessi nel procedimento. I famigliari, invece, si costituiscono contro i 13 ufficiali. 5 febbraio, per la prima volta Andreotti accetta di ricevere i famigliari delle vittime e annuncia loro che il governo è disposto ad esercitare una propria azione diretta dentro l’inchiesta giudiziaria e per questo obiettivo ha deciso di delegare l’Avvocatura generale dello Stato a rappresentarlo e tutelarlo nel corso della fase istruttoria. 14 aprile, la Commissione stragi approva la relazione conclusiva sui caso Ustica con voto unanime segnalando le pesanti reticenze menzogne di poteri pubblici e istituzioni militari. L’on. Gualtieri, presidente della Commissione, scrive nelle conclusioni che è giunto il momento di chiedere conto anche agli altri Paesi di quanto è accaduto nei cieli italiani. Il 24 aprile, il giudice Priore deposita oltre mille pagine di trascrizioni di telefonate intercorse tra i diversi centri radar nella notte in cui l’aereo si è inabissato. E in alcune di queste è segnalato traffico aereo statunitense. 26 maggio, iniziano gli interrogatori di generali e ufficiali incriminati. 14 giugno, viene recuperata la fusoliera del Dc-9 inabissatosi. Il 13 agosto, prima della chiusura estiva il Cdm emana un decreto con il quale proroga i termini delle istruttorie particolarmente gravi fissando il termine del 31 dicembre. Il 17 ottobre, viene confermata - sulla base della documentazione in possesso di Priore - la presenza di almeno due aerei militari nel cielo di Ustica la sera della strage. E’ la registrazione di una conversazione intercorsa nella torre della base di Grosseto, un’ora dopo la strage, tra tre militari non identificati: si parla di Phantom e s' accenna alla presenza d’una portaerei.
Il 20 ottobre il Pentagono ribadisce che la sera del disastro la Saratoga è ancorata nel porto di Napoli e che non ci sono aerei Usa che volano nei cieli di Ustica. L’1 novembre il governo italiano si dichiara favorevole e pronto a costituirsi parte civile nel procedimento per la strage di Ustica. Nel luglio 1994, per il collegio peritale nominato dal giudice Priore è stata una bomba nella toilette dell’aereo a far esplodere il Dc-9, ma due periti depositano un’altra relazione secondo la quale non si esclude il missile.
Il 17 giugno 1997, la perizia radar consegnata a Priore da un collegio di superesperti stabilisce che oltre al Dc-9 Itavia nel cielo di Ustica quella notte ci sono aerei militari. Il 31 agosto 1999 sempre Priore deposita la sentenza-ordinanza e rinvia a giudizio i generali Lamberto Bartolucci, Zeno Tascio, Corrado Melillo e Franco Ferri e gli altri 5 ufficiali per attentato contro gli organi costituzionali con l’aggravante dell’alto tradimento, mentre dichiara di non doversi procedere per strage perchè «ignoti gli autori del reato». E dedica anche un capitolo, il quarto, alle «vittime collaterali», 13 in tutto, che vanno a sommarsi alle 81 ufficiali: «Decessi dubbi» li definisce, morti - in alcuni casi suicidi - in quanto «a conoscenza di qualcosa che non è stato mai ufficialmente rivelato e da questo peso sono rimasti schiacciati». Sono i tenenti colonnello Ivo Nutarelli e Mario Naldini. Il maresciallo dell’aeronautica militare Mario Alberto Dettori, nel 1980 controllore di difesa aerea a Poggio Ballone e la sera della sciagura è probabile abbia visto qualcosa dai radar. Morto il 31 marzo 1987, trovato impiccato a un albero nel grossetano, in riva al fiume Ombrone. Il maresciallo Franco Parisi è deceduto invece alla periferia di Lecce nello stesso modo, ma più tardi rispetto a Dettori, il 21 dicembre 1995.
Il 13 agosto, prima della chiusura estiva il Cdm emana un decreto con il quale proroga i termini delle istruttorie particolarmente gravi fissando il termine del 31 dicembre. Il 17 ottobre, viene confermata - sulla base della documentazione in possesso di Priore - la presenza di almeno due aerei militari nel cielo di Ustica la sera della strage. E’ la registrazione di una conversazione intercorsa nella torre della base di Grosseto, un’ora dopo la strage, tra tre militari non identificati: si parla di Phantom e s' accenna alla presenza d’una portaerei. Il 20 ottobre il Pentagono ribadisce che la sera del disastro la Saratoga è ancorata nel porto di Napoli e che non ci sono aerei Usa che volano nei cieli di Ustica. L’1 novembre il governo italiano si dichiara favorevole e pronto a costituirsi parte civile nel procedimento per la strage di Ustica. Nel luglio 1994, per il collegio peritale nominato dal giudice Priore è stata una bomba nella toilette dell’aereo a far esplodere il Dc-9, ma due periti depositano un’altra relazione secondo la quale non si esclude il missile.
Controllore a Otranto, Dettori non è in servizio quel 27 giugno 1980, ma lo è meno di un mese dopo, la mattinata del 18 luglio, quando viene ritrovato il Mig libico sulla Sila, e che si vuole caduto quel giorno mentre diverse risultanze dicono che è precipitato una ventina di giorni prima. Ci sono poi il colonnello Pierangelo Tedoldi
(morto il 3 agosto 1980 in un incidente stradale sull'Aurelia), il capitano Maurizio Gari (infarto, 8 maggio 1981), il sindaco di Grosseto nel 1980 Giovanni Battista Finetti (23 gennaio 1983, incidente a Istia d’Ombrone), il maresciallo Ugo Zammarelli (12 agosto 1988, incidente stradale a Lamezia Terme), il suo parigrado Antonio Muzio (1 febbraio 1991, vittima di omicidio a Vibo Valentia), il tenente colonnello Sandro Marcucci (2 febbraio 1992, incidente aereo mentre era in servizio antincendio), il maresciallo Antonio Pagliara (morto lo stesso giorno di Marcucci in un incidente stradale a Lecce), il generale Roberto Boemio (12 gennaio 1983, omicidio a Bruxelles) e il maggiore medico Gian Paolo Totaro (2 novembre 1994, suicidio per impiccagione).
Il 23 giugno 2000, il procuratore militare di Roma Antonino Intelisano chiede l’archiviazione dell’indagine sul disastro. Il 5 febbraio 2001 il gip ordina al Pm di indagare quattro generali dell’aeronautica per «concorso in alto tradimento e attentato continuato contro gli organi costituzionali». Il 2 luglio, viene stabilito che il processo per Ustica resta di competenza della giustizia civile e non di quella militare.
Il 30 aprile 2004 la terza Corte d’Assise di Roma assolve i generali dell’aeronautica Lamberto Bartolucci, Franco Ferri, Zeno Tascio e Corrado Melillo per i presunti depistaggi. E il capo di imputazione, nei confronti di Bartolucci e Ferri, riguardante l’informazione alle autorità politiche della presenza di altri aerei la sera dell’incidente, il reato viene considerato prescritto. Su quest’ultima imputazione la procura impugna la sentenza.
Il 15 dicembre 2005 la prima Corte d’Assise di Appello di Roma assolve i generali Bartolucci e Ferri, accusati di alto tradimento in relazione all’omessa comunicazione al Governo di informazioni sul disastro aereo in quanto il fatto non sussiste. Il primo giugno 2006, la Procura Generale e il Governo ricorrono in Cassazione contro la sentenza d’Appello.
Il 10 gennaio 2007, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso. L’assoluzione basata su «il fatto non sussiste» diventa definitiva. Resta preclusa poi la possibilità di riaprire il processo anche per la parte relativa ai risarcimenti civili. Il 30 maggio il tribunale civile di Palermo condanna i ministeri della Difesa e dei Trasporti al risarcimento dei familiari di quattro delle 81 vittime che non hanno seguito l’iter del processo che si è concluso in Cassazione (il 15 giugno 2010 la Corte d’Appello di Palermo conferma la condanna).
Il 9 gennaio 2008 i familiari delle vittime aprono un nuovo fronte citando, dinanzi al tribunale civile di Palermo, i ministeri della Difesa e dei Trasporti , ritenuti «colpevoli delle omissioni e delle negligenze» e per aver impedito l’accertamento giudiziario della verità.
Il 21 giugno, la procura di Roma riapre l’inchiesta in seguito alle dichiarazioni del presidente emerito della Repubblica Cossiga secondo il quale ad abbattere l’aereo sarebbe stato un missile «a risonanza e non a impatto», lanciato da un aereo della Marina militare francese.
Il 6 maggio 2009, la Cassazione decide che un nuovo processo deve ora stabilire se i ministeri di Difesa e Trasporti abbiano avuto responsabilità civili nel mancato controllo dello spazio aereo.
L’8 maggio 2010 il capo dello Stato Giorgio Napolitano afferma che nella strage di Ustica, oltre ad «intrecci eversivi, ci furono anche intrighi internazionali che non possiamo oggi non richiamare, insieme con opacità di comportamenti da parte di corpi dello Stato, ad inefficienze di apparati e di interventi deputati all’accertamento della verità». 22 giugno, sulla base di due rogatorie, in Francia e negli Stati Uniti, la procura di Roma chiede notizie sul traffico aereo militare nello spazio al largo di Ustica la sera del 27 giugno 1980. Da Parigi arriva la disponibilità a collaborare.
Il 12 settembre 2011, il Tribunale Civile di Palermo condanna i ministeri Difesa e Trasporti al risarcimento di oltre 100 milioni di euro per 81 parenti delle vittime della strage. Il 21 settembre vengono depositate le motivazioni della sentenza dei giudici civili di Palermo: a far precipitare il DC 9 fu un missile o una quasi collisione tra velivoli militari.
Il 16 marzo 2012, la Corte d’appello di Palermo sospende la sentenza di primo grado e quindi anche i risarcimenti previsti per le vittime. Il processo è rinviato al 2014.
Il 28 gennaio 2013: per il primo gruppo di vittime che hanno promosso la causa civile, la Cassazione condanna lo Stato a pagare un risarcimento. Per i giudici il D9 è stato abbattuto da un missile. Il 22 ottobre, con una nuova sentenza, sempre della Terza sezione civile, la Suprema Corte è tornata a occuparsi del disastro di Ustica e non solo ha elevato a «consacrazione» la tesi del missile lanciato contro il Dc-9 Itavia da un aereo «rimasto sconosciuto», già sostenuta nel verdetto di nove mesi prima, ma si è spinta anche oltre, affermando - questa la novità - che è «incongruo e contrario a criteri di logicità» escludere il peso di quegli acclarati depistaggi, che parlavano di «cedimento strutturale» del velivolo, nel fallimento del gruppo di trasporto aereo fondato dall’imprenditore marchigiano Aldo Davanzali, titolare dell’Itavia, accusato di far volare «bare volanti» e al quale dopo il disastro sui cieli siciliani fu vietata l’attività fino al fallimento della società aerea.
Il 22 dicembre 2017, in un puntata di «Atlantide» che conduce su La7, Andrea Purgatori intervista in Texas Brian Sandlin, che il 27 giugno 1980 è in servizio come marinaio sulla portaerei Saratoga, destinata dagli Stati Uniti al pattugliamento del Mediterraneo. Sandlin racconta quel che ha visto la sera di quel 27 giugno 1980 e dice che dalla plancia della nave, di stanza a poche miglia dal golfo di Napoli, assiste al rientro di una missione speciale di due Phantom disarmati, «scarichi», dopo esser partiti armati. Aerei che sarebbero serviti ad abbattere altrettanti Mig libici in volo lungo la traiettoria del Dc-9: «Quella sera - racconta l’ex marinaio - ci hanno detto che avevamo abbattuto due Mig libici. E’ la ragione per cui siamo salpati: mettere alla prova la Libia». Un’affermazione che di fatto attesta lo scenario di guerra sui cieli italiani facendo riemergere ancora una volta l’ipotesi del volo colpito per errore. Il testimone ricorda anche il clima dei giorni a seguire quel 27 giugno: «In plancia c'era un silenzio assoluto. Non era consentito parlare, non potevamo neppure berci una tazza di caffè o fumare. Gli ufficiali si comportavano in modo professionale ma parlavano poco fra loro».
Se ha taciuto per paura in tutti questi anni, Sandlin ha deciso di parlare oggi, fine anno 2017, per il fatto che gli scenari internazionali sono completamente cambiati. L’ex marinaio Usa smentisce anche verità ufficiali, come quella fornita dal Pentagono, secondo il quale quella notte i radar della Saratoga sarebbero stati spenti per non disturbare le frequenze televisive italiane. Impossibile, afferma Sandlin, perchè mai e poi mai una nave di quel genere avrebbe potuto spegnere i radar. «Parliamo di una portaerei della marina militare americana, con 85 aerei e 5.000 marinai, qualcosa che vale due miliardi di dollari. Crede veramente che nel 1980 avrebbero lasciato questo patrimonio senza una difesa adeguata?», si chiede Sandlin. Quanto alla frase interrotta - «gua» - pronunciata dal pilota del Dc-9 Itavia, è stata ricostruita dai tecnici di Rainews che hanno ripulito il nastro, come scrive Pino Corrias su «Il Fatto» del 17 giugno scorso. Ed è diventata una frase di senso compiuto: «Guarda, cos'è?» La verità indicibile.
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