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La doppia sfida di mamma e figlio palermitani: lei sconfigge il coronavirus, lui la leucemia

Guarire per tornare ad amare. Battere il Coronavirus per lasciarsi alle spalle la malattia più inaspettata e sconosciuta di sempre e per specchiarsi in un figlio di nove anni, guarito a sua volta da una leucemia linfoblastica. Benedetta e Andrea, due destini. E oggi la contentezza di una festa della mamma l'una accanto all'altro, stretti assieme ad Arianna e a papà Antonio.

Una famiglia che ha vissuto tante vite, la paura del precipizio, la rinascita. Benedetta è una dei tre impiegati del call center Comdata che hanno contratto il Covid-19 a marzo. Il virus arrivato in via La Malfa per vie traverse, forse è bastato uno scambio in un'area break con chi aveva incontrato gente di Bergamo. Questo si dicono i colleghi fra loro ma non c'è stato tempo per investigare. Benedetta ha cominciato a star male il 15 marzo, aveva febbre e spossatezza.

Il sistema d'emergenza ha tentennato per otto giorni di farle fare il tampone e di cogliere la gravità del suo caso fino a trasferirla prima al pronto soccorso dell'ospedale Cervello di Palermo. Lì una tac ha chiarito le idee a tutti e allora via verso il Covid-hospital di Partinico dove c'era posto e dove si è aggravata la sua polmonite bilaterale interstiziale che dava già un brusco calo della saturazione (il livello di ossigeno nel sangue). Benedetta, sempre in stato febbrile, ha avuto messo il casco di ventilazione, fino ad arrivare all'intubazione con 8 giorni di buio comatoso.

Andrea, il gemello morale della mamma, c'ha messo del suo per aiutarla assieme alla preziosa pediatra di base Daniela Paternostro. "Quando ho cominciato a non star bene, temendo di poter provocare problemi a mio figlio che è immunodepresso, l'ho chiamata e le ho spiegato i sintomi - racconta - Mi aveva già dato una mano a salvarlo con il suo tempestivo sospetto di diagnosi quando nel 2016 si ammalò di leucemia. E anche stavolta mi ha dato le istruzioni giuste. Mi sono isolata e ho tenuto tutti e tre a distanza anche senza essere certa di aver contratto il virus".

Gli incontri contano molto nei passaggi difficili di un'esistenza anche quando avvengono di sfuggita. Marcello Cinquemani è l'infermiere che con un'ambulanza del 118 l'ha accompagnata a Partinico. Le ha scritto subito dopo per dirle: sei in buone mani. Ma Benedetta nei suoi quaranta giorni in ospedale ne ha viste davvero tante. E adesso capisce ancora di più il suo Andrea che all'Oncoematologia dell'ospedale Civico di Palermo ha lottato per due anni e oggi è in remissione da sempre coccolato dall'Aslti, l'Associziazione siciliana leucemie e tumori infantili. "E' incredibile la forza dei bambini, forse io ne ho avuta di meno lì per lì. Quando sono precipitata nel coma ho avuto davanti a me l'oscurità - Benedetta ricorda, parla, si ferma, si commuove e ricomincia - La sensazione che mi rimane è di avere visto cosa c'è oltre. Ero gravissima ed ero nel panico. Mi sono rivolta a Dio e gli ho detto: ho Andrea di 9 anni, deve fare la comunione. Ho Arianna di 5 anni, deve andare in prima elementare. Decidi tu".

Prova di ostinazione e di fede di una madre che vuole tornare a casa a tutti i costi, sorretta da un'équipe di rianimazione per la quale ha parole di gratitudine e che è guidata dal Mario Melìa con medici e infermieri sempre lì seguire una paziente di soli 40 anni con due figli piccoli e un marito ad aspettarla. Benedetta ha condotto il suo viaggio nell'incoscienza del coma, avrebbe potuto non farcela: aveva il 25% di possibilità di guarire, le hanno Sandro Tomasello e l'infermiera Silvana (altri due incontri che non dimenticherà) quando l'hanno dimessa. E' stata trattata prima con l'antivirale idrossiclorochina, il farmaco è il Plaquenil. Poi, quando si è ridotta al minimo della sua capacità respiratoria, la strategia dei medici è cambiata e si è passati all'attacco alla malattia con l'antireumatoide sperimentato con buoni risultati all'ospedale Cotugno di Napoli, l'ormai famoso tocilizumab. Ha funzionato e piano piano le tenebre hanno lasciato il posto alla luce.

Mamma Benedetta è stata a lungo intubata, nutrita per endovena, il corpo smagrito, mortificato dal Sars Covid-19, un avversario senza scrupoli. Dal 24 marzo al 10 aprile solo sofferenza, la solitudine della stanza di rianimazione, gli astronauti ad accudirla, come li descriverà Benedetta ai suoi figli. Il giorno della prima telefonata ad Andrea ed Arianna è stato faticoso. In reparto non si trovavano più né borsa né telefonino.

Poi la videochiamata come la prova del fuoco di una mamma rinata: "Andrea è scoppiato a piangere, Arianna appresso a lui. Ero debole ma felice - Benedetta ricorda - Fate del vostro meglio per lei, diceva Andrea a chi era lì a curarmi, il mio bambino che di medici ne ha conosciuti tanti. Cosa dicono i dottori, mamma?" Papà Antonio si è fatto in mille per non scoraggiarsi e non spaventare i bambini. Ma ha fatto tanto anche la sorella maggiore di Benedetta, zia Tiziana. E come non citare, perché lei ci tiene tanto, le straordinarie amiche di questa mamma anti-Covid. Nei dieci giorni in reparto di lungodegenza una valanga di messaggi in chat dalle amiche più amiche che mai: Silvia, Dora, Valentina, Michela. E poi i colleghi del call center nel frattempo tutti in smart working: i tre contagiati di Comdata per fortuna non hanno fatto un focolaio. Il 2 maggio Benedetta è tornata a casa. Nessuno dei suoi familiari è risultato positivo al Coronavirus. La malattia è battuta. Tre tamponi negativi la restituiscono alle sue gioie, fiaccata, ancora debole, ma viva, grata e decisa a ricominciare come mamma, come lavoratrice, come piccola grande eroina della guerra a un nemico straniero che parla una lingua ancora difficile da capire per la scienza.

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