I medici di famiglia chiudono gli studi, preoccupati di contrarre il coronavirus. Coinvolti dieci comuni della provincia di Palermo. La comunicazione arriva attraverso una nota e riguarda i medici del Distretto 37 di Termini Imerese e gli assistenti di studio. Annunciano che provvederanno solo a rispondere alle urgenze e che le ricette saranno inviate via mail.
La decisione riguarda i comuni di Termini Imerese, Aliminusa, Caccamo, Caltavuturo, Cerda, Montemaggiore Belsito, Scillato, Sciara, Sclafani Bagni, Trabia. I medici parlano di "condizioni proibitive" nelle quali operano. "Ad inizio febbraio 2020, si cominciò a parlare di coronavirus, anche con un po' di ironia. A fine febbraio 2020, la situazione divenne sempre più grave e complicata, più che per noi, per chi doveva iniziare a gestire l'emergenza, sia a livello nazionale, regionale, provinciale e locale".
E aggiungono: È da fine febbraio 2020 - aggiungono - che ci dibattiamo in una giungla di numeri da chiamare al bisogno (1500,112,118) non sempre attivi fra normative varie, che cambiavano e cambiano nell'arco di una giornata o anche meno, fra flow chart, più o meno improvvisate e poco veritiere nello gestire l'emergenza, fra zone colorate, dal rosso all'arancione, ed, in ultimo, l'Italia è stata catalogata come 'zona protetta', fra schede di autodenuncia ed altri tipi di schede, anche queste mutanti a mo di camaleonti, e così seguitando".
Nella nota i medici allargano le braccia e dicono di essere sprovvisti degli strumenti di sicurezza: "Non siamo stati dotati di materiale idoneo (guanti, mascherine, occhiali e quant'altro) per fronteggiare l'emergenza. Siamo rimasti in trincea, soli con noi stessi ed in data 11/03/2020, è arrivata la notizia del decesso del collega Roberto Stella di Varese, che aveva contratto sul campo il Covid 19 ed era ricoverato in terapia intensiva".
Quindi la decisione di chiudere gli studi: "Noi non vogliamo essere eroi, ma solo medici attenti e professionali, e, curare i nostri assistiti, ma, per fare ciò, dobbiamo essere messi in condizione di lavorare in modo più decente, ma, soprattutto, più sicuro per la nostra incolumità fisica".
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