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Mafia di Belmonte Mezzagno, gli eredi dei Cavallotti citano in giudizio lo Stato

Corte europea dei diritti umani, Strasburgo.

Gli eredi degli imprenditori di Belmonte Mezzagno Cavallotti citano in giudizio davanti alla corte di Strasburgo lo Stato italiano. Ha infatti superato il filtro di ricevibilità davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo il loro ricorso dopo che lo scorso maggio, a distanza di 8 anni dal sequestro del patrimonio, gli erano stati restituiti i beni.

Gli imprenditori citano a giudizio davanti alla corte di Strasburgo lo Stato italiano per l’eccessiva durata del procedimento di prevenzione conclusosi peraltro con un dissequestro dei beni. I fratelli Vincenzo, Salvatore Vito e Gaetano Cavallotti, padri dei ricorrenti, furono processati per turbativa d’asta, reato poi prescritto, e per concorso esterno in associazione mafiosa, accusa da cui vennero poi assolti.

I giudici però ritennero che pur non essendoci prove della loro colpevolezza, erano emersi indizi di una loro vicinanza ai boss Ciccio Pastoia e Benedetto Spera, colonnelli del padrino Bernardo Provenzano. Una valutazione che comportò il procedimento di prevenzione e la confisca del loro patrimonio. I beni dei figli vennero invece sequestrati. Mentre la confisca è diventata definitiva, dopo 8 anni, a giugno del 2019, il tribunale ha restituito agli eredi i beni sotto sequestro.

Ora la Corte di Strasburgo è chiamata a pronunciarsi sull'irragionevole durata del procedimento di prevenzione e sulla violazione che il sequestro ha determinato in relazione al diritto al rispetto della vita privata e familiare e all’integrità del patrimonio.

Ormai, copo l'amministrazione giudiziaria, le società tornate in possesso dei Cavallotti sono sull'orlo del fallimento. «Si tratta di una strada nuova, - dice l’avvocato difensore Stefano Giordano - dove per la prima volta si chiede di accertare la responsabilità dello Stato sebbene sia intervenuta la revoca della misura di prevenzione».

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