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"Scambio di persona": scarcerato a Palermo eritreo arrestato per traffico di migranti

L’imputato non è Mered Medhanie Yedhego, l’uomo arrestato in Sudan ed estradato nel 2016 in Italia con l’accusa di essere a capo di una delle maggiori organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di migranti. Lo ha stabilito la Corte d’Assise di Palermo.

Secondo i giudici si tratta di uno scambio di persona: l’imputato non sarebbe l'uomo ricercato ma Medhanie Tesfamariam Bere, un falegname comunque coivolto nel traffico di migranti e condannato a 5 anni di reclusione per favoreggiamento. I giudici ne hanno disposto la scarcerazione.

La tesi dello scambio di persona era stata sostenuta in tutto il processo dall’avvocato Michele Calantropo, difensore dell’imputato, che aveva chiesto anche l'esame del Dna.

I giudici l’avrebbero accolta facendo cadere l'accusa principale, quella di associazione per delinquere finalizzata al traffico dei migranti contestata al «generale», come veniva definito dai trafficanti, e condannando l’imputato solo per un episodio relativo al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nei confronti di due persone.

L’accusa, sostenuta in aula dai Pm Gery Ferrara e Claudio Camilleri, aveva chiesto la condanna dell’imputato a 14 anni di reclusione.

Il processo nasce da una inchiesta della Procura di Palermo sui trafficanti di uomini. I pm cercavano da anni quello che ritenevano uno dei capi dell’organizzazione che gestiva la tratta, conosciuto dall’autorità giudiziaria italiana come Mered Yehdego Medhanie, nome che potrebbe essere uno degli alias usati dal «boss». Fu la National Crime Agency brittanica a dare agli italiani l’informazione che il ricercato si trovava a Khartum, in Sudan. Gli inquirenti sudanesi e inglesi accertarono che aveva in uso più utenze cellulari una delle quali, intercettata dai magistrati palermitani, risultò collegata ad alcuni trafficanti di uomini che vivevano in Libia.

Secondo la Procura di Palermo l’analisi delle telefonate fate col cellulare in uso all’eritreo avrebbero confermato i sospetti degli investigatori: nel corso di diverse conversazioni, infatti, si parlava di traffico di migranti. L’indagato ha sempre negato che fosse suo il cellulare sequestrato e il suo legale ha sostenuto che il suo assistito si chiamasse in realtà Medhanie Tesfamariam Bere, un falegname che si trovava in Sudan con l’intenzione di raggiungere le coste africane per imbarcarsi per l’Europa e che, dunque, ci fosse stato un clamoroso errore di persona.

(ANSA)

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