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Omicidio a Palermo, le salme di Giacomo e Antonino Lupo allo Zen: nove i colpi fatali

Dodici colpi, dei quali nove andati a segno. Proiettili, sparati da una calibro 9,  che non hanno lasciato scampo ad Antonino e Giacomo Lupo, padre e figlio, rispettivamente di 53 e 19 anni, uccisi giovedì sera allo Zen. E' stata effettuata l'autopsia sui corpi al Policlinico, all'istituto di medicina legale, che non ha potuto far altro che confermare quanto già si sapeva: i proiettili hanno colpito più punti vitale e più volte, non lasciando di fatto scampo alle vittime. Quattro colpi hanno raggiunto il padre, di cui uno, fatale, al cuore, mentre Giacomo è morto per le ferite al torace e al collo.

Le salme sono state poi restituite alla famiglia.  Le bare contenenti i corpi dei Lupo sono arrivate nel pomeriggio allo Zen  e sono state accolte da parenti e amici tra lacrime, applausi e grida di dolore. I funerali dovrebbero svolgersi martedì mattina. Per queste morti, per questo duplice omicidio, c'è stato un arresto, Giovanni Colombo, 26 anni, che si è costituito ieri mattina, al comando provinciale dei carabinieri accompagnato dal suo legale, l’avvocato Corrado Sinatra. Il giovane, che era ricercato dalla polizia, aveva passato la notte fuori casa.

Il mistero del movente

Nonostante abbia confessato il delitto, sul movente che ha portato a questo efferato delitto c'è ancora una sorta di alone di mistero. Agli inquirenti Colombo avrebbe detto poco o niente. Di certo si sa che i poliziotti avevano individuato lui, come possibile colpevole, subito dopo il delitto. Dopotutto, dicono, bastava vedere la folla di persone allo Zen che si era radunata sotto casa sua, tra insulti e minacce.

Il ventiseienne, però, già non era a casa. Si presenterà in caserma qualche ora dopo, quando era già braccato dai poliziotti. Di sicuro c'è che non correva buon sangue tra la famiglia di Colombo e quella Lupo, già da molto tempo. Pare che ci fosse di mezzo una ragazza, con qualche avance di troppo durante una festa. Certamente, per stessa ammissione di Colombo, c'era stato un diverbio, anche piuttosto pesante, tra lui e uno dei fratelli Lupo, poco prima della tragedia.

"Erano in sessanta sotto casa mia"

Colombo ha sempre sostenuto e continua a sostenere di aver agito per difendersi, una sorta di "me o loro", insomma. Anche perchè, sempre secondo il racconto del ventiseienne, si erano presentati in sessanta sotto la sua abitazione, dopo il diverbio, per una sorta di regolamento di conti, una "giustizia popolare", del quartiere. Il "branco", insomma.

"Gente armata di bastoni e spaccaossa", ha detto il ventiseienne, che a quel punto, impaurito, avrebbe preso la pistola per difendersi. Nemmeno questo avrebbe però fermato padre e figlio, soprattutto il più giovane, Giacomo, un pugile a quanto pare molto temuto e rispettato nel quartiere, anche benvoluto dai più piccoli che lo chiamavano "Big Jim" per la sua forza. A quel punto, con il rifiuto di "indietreggiare" dei due, sarebbero partiti i colpi fatali. "Non potevo fare altro", ha detto Colombo. Confessione e parole che comunque sono state prese con le molle dagli uomini della squadra mobile della polizia, guidata da Rodolfo Ruperti.

 

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