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Palermo, confisca da oltre 40 milioni di euro alle signore del gas Brancato

Sono stati confiscati beni per un valore complessivo di circa 40 milioni di euro agli eredi di Ezio Brancato, ex funzionario della Regione Siciliana. Si tratta di sei aziende commerciali con sede in Italia e Spagna; cinque quote societarie detenute da società italiane; cinquantanove  immobili tra Palermo, Costa Smeralda e Barcellona; quattro autovetture; un motoveicolo; 118 rapporti finanziari detenuti in Italia, Spagna e Principato di Andorra; crediti vantati nei confronti di persone giuridiche e persone fisiche; denaro contante.

Sono stati trovati nei caveau delle banche pirenaiche, intestati a terze persone e società di comodo, rapporti bancari e cassette di sicurezza che contenevano decine di preziosi monili e migliaia di euro in contanti.

Il decreto di confisca è stato disposto nei confronti di Maria D'Anna, di 72 anni e delle figlie Monia Brancato, di 45 anni e Antonella Brancato, di 36 anni, rispettivamente, vedova e figlie di Ezio Ruggero Maria Brancato, morto nel  2000, che aveva effettuato nel corso degli anni investimenti in alcune imprese palermitane, coinvolte, a partire dagli anni ’80, nel complesso processo politico imprenditoriale che ha portato alla realizzazione della rete di metanizzazione in Sicilia, nonché ai profitti derivanti dalla loro gestione e successiva vendita, avvenuta nel gennaio 2004, a favore della multinazionale spagnola “Gas Natural”, per un valore di oltre 115 milioni di euro, di cui oltre 46 milioni rappresentavano il profitto della cessione delle quote pagato alla moglie e alle figlie.

In particolare, Ezio Ruggero Maria Brancato era socio di sei società facenti capo al cosiddetto “Gruppo gas” con sede a Palermo, ritenute, come accertato dalle indagini nel tempo eseguite, sotto il controllo dei noti esponenti mafiosi  come Vito Ciancimino e Bernardo Provenzano.

Le numerose e convergenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia e di atti riguardanti le imprese interessate hanno evidenziato la contiguità di Ezio Ruggero Maria Brancato e dei suoi eredi a cosa nostra, attraverso le partecipazioni dagli stessi detenute nel “Gruppo Gas”.

In particolare, i diversi collaboratori di giustizia hanno riferito che il “Gruppo Gas” era un’espressione di Vito Ciancimino, che era “l’interfaccia di Salvatore Riina e Bernardo Provenzano”.

In tale ottica, il citato “Gruppo Gas”, attraverso i sub appalti concessi ad imprese vicine alla criminalità organizzata, avrebbe interagito con cosa nostra in una logica di “reciproco vantaggio”, atteggiandosi come una “impresa collusa mafiosa”, tale da ritenere il condizionamento mafioso esteso all’intera compagine sociale del medesimo “Gruppo
Gas”.

La gestione mafiosa del “Gruppo Gas” da parte di  Maria D'Anna e della figlia Monia Brancato deve considerarsi decisiva affinché alle imprese potesse attribuirsi il valore di vendita poi concordato con gli spagnoli della Gas natural.

Analoghe risultanze investigative avevano determinato il sequestro dei beni nella disponibilità di Massimo Ciancimino, considerati provento della cessione delle quote del “Gruppo Gas” intestate al prestanome Gianni  Lapis, socio storico di Ezio Brancato, avendo ritenuto che la costituzione e gestione delle società del “Gruppo G.A.S.”, in passato, abbia rappresentato interessi di natura mafiosa.

Il frutto della maxi operazione di vendita delle società del Gas è stato quindi reinvestito in società, mobilità finanziare, ma soprattutto in immobili di grande pregio a Palermo, come un intero palazzo con vista sul teatro Massimo, un attico sul Giardino Inglese, ed altri in via Dante o in zona Notarbartolo, in Sardegna  in Costa Smeralda  a Cala del Faro ad Arzachena ed all’estero.

Inoltre, il lavoro di ricostruzione dei flussi finanziari ha consentito di individuare il patrimonio della famiglia Brancato in Spagna e quello illecitamente detenuto nel Principato di Andorra, Paese con il quale è stata avviata dallo stesso Procuratore Capo di Palermo una cooperazione giudiziaria che ha aperto per la prima volta alla collaborazione attiva con l’Italia.

Sono stati pertanto trovati nei caveau delle banche pirenaiche, intestati a terze persone e società di comodo, rapporti bancari e cassette di sicurezza che contenevano decine di preziosi monili e migliaia di euro in contanti.

 

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