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Mafia, colpita la famiglia di Monreale: 6 arresti. "Sergio Damiani a capo dal carcere"

Nuovo colpo al mandamento mafioso di San Giuseppe Jato e in particolare alla famiglia mafiosa di Monreale. Due imprenditori edili vessati hanno denunciato le estorsioni e hanno contribuito alle indagini.

Dalle intercettazioni è emerso l’organigramma che vede a capo del gruppo mafioso Sergio Damiani, nonostante fosse in carcere. I militari del nucleo investigativo del gruppo di Monreale hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per sei persone, emessa dal gip del tribunale di Palermo, su richiesta della procura Distrettuale antimafia – sezione territoriale di Palermo, accusate di associazione di tipo mafioso ed estorsione aggravata.

Tra gli arrestati c'è appunto Damiani, di 48 anni, panettiere, ritenuto reggente della famiglia di Monreale e già riconosciuto uomo d’onore della famiglia mafiosa. E' il nipote del defunto Settimo Damiani  che sarebbe stato capo dell’organizzazione mafiosa monrealese prima dell’avvento dello storico boss Giuseppe Balsano.

In manette anche Salvatore Lupo, di 30 anni,  condannato in primo grado lo scorso 24 aprile alla pena di 12 anni di reclusione per associazione di tipo mafioso;  Girolamo Spina, di 52 anni, ritenuto personaggio di spicco della famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato, recentemente condannato in primo grado alla pena di 9 anni e 8 mesi di reclusione per associazione mafiosa;   Salvatore Billetta, di 49 anni, appartenente alla famiglia mafiosa di Monreale, condannato in primo grado alla pena di 8 anni e 4 mesi di reclusione per associazione mafiosa; Antonino Alamia, di 54 anni, cassiere del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato, condannato in primo grado alla pena di 12 anni di reclusione per associazione mafiosa;   Antonino Sciortino, di 58 anni, muratore.

Con le operazioni  delle indagini dei carabinieri denominate “Quattropuntozero” e “Montereale” tra marzo e ottobre 2016, furono arrestati molti esponenti apicali del mandamento di San Giuseppe Jato.

Dalle indagini è emersa la riorganizzazione territoriale di cosa nostra, avvenuta nell’arco di pochi mesi, consentendo, in particolare, di individuare i vertici ed i nuovi assetti della storica famiglia mafiosa di Monreale. Inoltre gli inquirenti hanno potuto confermare  che la famiglia mafiosa di Monreale costituisce una delle articolazioni più rilevanti del mandamento di San Giuseppe Jato, anche in considerazione della posizione strategica per la vicinanza a Palermo e alle altre famiglie mafiose della provincia palermitana.

E’ stato possibile comprendere evoluzione degli equilibri associativi dell’organizzazione mafiosa del mandamento di San Giuseppe Jato e della famiglia di Monreale. Gli inquirenti hanno delineato l’organigramma della famiglia mafiosa di Monreale e ricostruito e due vicende estorsive ai danni di imprenditori del settore edile. E’ stata inoltre accertata l’esistenza di una vera e propria cassa gestita dal mandamento di San Giuseppe Jato, al cui interno periodicamente confluivano le risorse illecitamente acquisite dagli indagati, derivanti prevalentemente dalle estorsioni praticate su larga scala nel territorio di Monreale.

Sergio Damiani, nonostante fosse detenuto, era stato già individuato quale reggente della famiglia di Monreale non appena scarcerato. La sua designazione è riemersa nel corso di un’intercettazione ambientale tra Alberto Bruscia ed il cognato Salvatore Lupo i quali discutevano del ruolo di reggente assegnato qualche giorno prima proprio a quest’ultimo dai vertici del mandamento di San Giuseppe Jato. Entrambi però sarebbero stati consapevoli che tale incarico sarebbe prima o poi cessato con la nomina di una persona di più elevato spessore mafioso, che peraltro gli stessi individuavano nell’uomo d’onore Sergio Damiani.

Inoltre, le attività tecniche condotte dai carabinieri di Monreale hanno riscontrato come il subentro di Damiani  nella reggenza della famiglia monrealese sarebbe stato particolarmente gradito a Ignazio Bruno, deputato a sostituire Gregorio Agrigento alla reggenza del mandamento della valle dello Jato anche per il rapporto di lunga e duratura amicizia che lo aveva legato all’esponente della famiglia monrealese.

Dalle indagini è emerso anche il ruolo di rilievo assunto da Antonino Sciortino che, per la sua caratura criminale  è stato materialmente “affiliato” alla famiglia di Monreale con l’avallo dei vertici mandamentali di San Giuseppe Jato, manifestato con una formale autorizzazione da parte di Girolamo Spina.

Peraltro, all’interno del nuovo assetto di potere determinato nella famiglia mafiosa di Monreale, era stato riservato un ruolo di primissimo piano anche a Salvatore Billetta. Delle  intenzioni dei vertici  tutti avrebbero dovuto interessarsi, in particolare, dell’individuazione delle attività edilizie da assoggettare al pagamento delle estorsioni per garantire gli introiti nelle casse del mandamento e assicurare il controllo del tessuto economico e sociale sul territorio. Sono state intercettate numerose conversazioni che  hanno confermato come tutte estorsioni sarebbero finalizzate al reperimento di risorse da far confluire nelle casse del mandamento di San Giuseppe Jato, gestite da Antonino Alamia.
Sono state documentate richieste estorsive nei confronti di due imprenditori edili locali costretti a versare cospicue somme di denaro per ogni nuovo appartamento da loro realizzato, nonché ad affidare a ditte “gradite” alla famiglia mafiosa i lavori per la realizzazione degli impianti elettrici e idraulici negli immobili in costruzione.

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