PALERMO. Duro colpo alla mafia nella provincia di Palermo. Finiscono in manette i nipoti del boss Giuseppe Scaduto, considerato capo del mandamento mafioso di Bagheria. Tra le figure di vertice di cosa nostra nella zona, per gli inquirenti, c’è Paolo Liga, accusato di avere organizzato le attività estorsive sul territorio.
Proprio Liga avrebbe avuto la funzione di tramite tra la mafia palermitana e la figura del boss Matteo Messina Denaro.
I carabinieri hanno dato esecuzione a sei provvedimenti di fermo di indiziato per altrettante persone accusate a vario titolo, di associazione di tipo mafioso ed estorsione aggravata ai danni di operatori economici. Tra i fermati, oltre allo stesso Liga, ci sono Salvatore Farina, Claudio e Riccardo De Lisi, Giuseppe Sanzone, Rosaria Maria Liga.
L’indagine denominata “Legame” ha permesso di accertare l’appartenenza di alcuni degli arrestati a cosa nostra e di ricostruire estorsioni commesse da suoi.
Le indagini sono state supportate da servizi di osservazione, pedinamento e controllo e dal supporto dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Si tratta di personaggi che in passato avevano occupato ruoli apicali nel mandamento di Bagheria, e hanno permesso di accertare, secondo i carabinieri, l’appartenenza di alcuni degli arrestati di oggi alla famiglia mafiosa di Bagheria.
Liga è nipote di Giuseppe Scaduto, ritenuto i capo del mandamento mafioso di Bagheria, arrestato lo scorso mese di ottobre nell’ambito dell’operazione “Nuova Alba”. Il rampollo della famiglia mafiosa sarebbe stato costantemente in contatto diretto con i vertici del mandamento, custodendone e gestendone l’arsenale con altri indagati tra cui Salvatore Farina.
I provvedimenti di fermo di sei mafiosi bagheresi, disposti dalla Dda di Palermo, sono scattati perché uno degli arrestati, il boss Paolo Liga, parlando con un familiare aveva manifestato l'idea di fuggire negli Stati Uniti.
Lo scorso 17 gennaio Liga aveva visto i carabinieri vicino alla sua auto, una Mercedes Classe A e aveva intuito che stavano installando una microspia. "Ce ne andiamo in America vita mia? - diceva al telefono il boss - Ci vuoi andare in America?".
Le armi trovate sono: pistole, fucili e mitragliette con matricola abrasa. Liga aveva anche la funzione di agevolare i contatti tra cosa nostra palermitana e trapanese e curava i contatti con il boss latitante Matteo Messina Danaro. Liga si sarebbe occupato anche della gestione delle estorsioni, coordinando costantemente le attività illecite degli altri affiliati arrestati nell’operazione, i fratelli Claudio e Riccardo De Lisi.
In particolare, le indagini hanno consentito di individuare i responsabili di una estorsione commessa a partire dall’aprile 2014 e fino a tutto il 2016, ai danni del titolare di una società operante nel settore della fornitura di servizi di sicurezza per locali notturni della zona.
Tra questi figurano Giuseppe Sanzone e Rosaria Maria Liga, sorella di Paolo e nipote di Scaduto. La donna ha partecipato attivamente alla raccolta illecita del denaro destinato, e al sovvenzionamento della latitanza del fratello Paolo Liga, che nel novembre 2015 si era sottratto alla cattura nell’ambito dell’operazione “Reset 2”.
Dalle indagini è emerso che Liga e i fratelli De Lisi avrebbero commesso un’estorsione ai danni di un intermediario finanziario di Bagheria, costretto a cedere la propria autovettura, perché gli estorsori pretendevano 50.000 euro.
"Anche oggi è stata realizzata un' importante tappa nel lungo percorso di contrasto a cosa nostra e di affermazione della legalità - commenta il comandante provinciale dei carabinieri di Palermo Antonio Di Stasio -. Oggi viene colpito quello che possiamo definire il processo di sostituzione di capi o affiliati storici con nuove generazioni di criminali, figli di capi appartenenti a famiglie influenti di cosa nostra - aggiunge Di Stasio - Infatti, dopo il recente arresto, a Palermo, di Giuseppe Biondino, noto figlio dell'autista e fiduciario di Riina, è stato assicurato alla giustizia Paolo Liga, nipote del capo mandamento di Bagheria".
"E ancora una volta, l'odierna operazione evidenzia come la pratica dell'estorsione - conclude - continua a caratterizzare l'attività di cosa nostra palermitana e, seppure si registri una costante diminuzione della remuneratività, resta comunque un processo parassitario di controllo delle famiglie mafiose sul territorio".
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