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Anziano muore ed è lite per l’eredità, i giudici: i nipoti lascino la casa all’ex badante

PALERMO. Per evitare spese eccessive, S.D.L., un anziano di Monreale, aveva scritto le sue ultime volontà in un foglio di carta: «Lascio la casetta…», recitava il messaggio. Quel foglio, però, valido a tutti gli effetti come un testamento, non era rivolto alla sua famiglia bensì all'ex badante. Che con amore e dedizione l'aveva accudito per quasi due anni. Il foglio della discordia ha dato origine ad una lunga battaglia, consumata in Tribunale, tra i nipoti che in quella casa abitavano, ignari del testamento, e la vera erede dell'appartamento.

La Seconda sezione civile del Tribunale, presieduta dai giudici Pasqua Seminara, Donata D'Agostino e Paola Condorelli, ha dato ragione all'ex badante, scrivendo nella sentenza che «emerge l'inequivoca intenzione di lasciare la suddetta casetta e le precise parole utilizzate dal testatore nell'atto contenente le proprie ultime volontà consentono di ritenere con certezza che il bene immobile al quale S.D.L. ha inteso fare riferimento fosse appunto la propria casetta in Monreale».

S.D.L. viveva da solo nella sua casa a Monreale. Per quasi due anni, la sua solitudine era stata mitigata da L.L.M., una badante sua compaesana, che lui e la sua famiglia conoscevano da tempo. Col passare dei giorni, il rapporto tra i due si era consolidato sempre più, tanto che i due figli della badante erano stati trattati dall'anziano come fossero suoi nipoti. Ma la terza gravidanza della donna l’aveva costretta ad interrompere il rapporto di lavoro, così L.L.M. aveva lasciato Monreale per trasferirsi a Palermo. Nonostante la lontananza, l'affetto nei confronti della donna e della sua famiglia da parte dell'uomo era rimasto immutato. Anzi si era rafforzato: la signora e le figlie, appena potevano, non avevano perso l'occasione di andare a trovare l'anziano, e lui, anche in presenza dei familiari, aveva manifestato più volte la volontà di lasciarle la casa in cui viveva.

Un desiderio così forte da condurlo in uno studio notarile per mettere nero su bianco la decisione. Ma i costi erano eccessivi. Informato dallo stesso notaio, l'anziano aveva scelto la via più veloce: aveva deciso di vergare di proprio pugno un pezzo di carta con data 30 luglio 2001. Un foglio che qualche settimana dopo aveva consegnato nelle mani della sua ex colf, dicendole di conservarlo.

Da quel momento, l'anziano e la sua ex badante non si erano incontrati più. Nel 2005 S.D.L. morì e solo quattro anni dopo la donna venne a conoscenza della sua scomparsa. E ricordandosi del testamento, si recò dal notaio per farlo pubblicare e in quel momento apprese che dopo la morte del suo datore di lavoro, i nipoti, A.G. e B.G., si erano presentati con un testamento del 1992 ed erano entrati in possesso dell'appartamento.

Da qui iniziò il braccio di ferro tra i nipoti dell'anziano e la donna. A.G. e B.G. le contestavano, prima, la veridicità del documento chiedendo una perizia grafologica; poi avevano messo in discussione la capacità d'intendere e di volere dello zio. La signora, difesa dall'avvocato Alessandro Palmigiano, aveva rivendicato la proprietà della casa chiedendo ai nipoti del defunto di lasciarla.

Dopo otto anni di perizie e di analisi dei documenti, nei giorni scorsi è arrivata la sentenza. La Corte ha dato ragione alla signora, affermando la validità di entrambi i testamenti, per i quali i nipoti possono essere considerati eredi universali, mentre l'ex badante unica erede dell'appartamento. «Sono lieto del risultato - dichiara Palmigiano - perché si tratta di una sentenza di rilievo nel settore, dove i giudici hanno applicato in maniera chiara le norme con una argomentazione solida ed articolata». Ai nipoti, adesso, non resta altro che fare le valigie.

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