PALERMO. Il bastone, che forse era il piede di un tavolino. Enzo Fragalà colpito, che cadeva per terra, veniva risollevato “con due dita” dal suo aggressore e veniva di nuovo bastonato, tre, quattro volte. Il volto di quell’uomo abbronzato, con un casco semi integrale, senza occhiali e senza barba. Un uomo di circa 35 anni robusto ma agile. Così Maurizio Cappello, testimone oculare dell’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà, ha raccontato davanti alla corte d’assise l’aggressione del 23 febbraio 2010 (il legale morirà tre giorni dopo, senza essersi mai ripreso dal coma). Sotto processo ci sono Paolo Cocco e Francesco Castronovo, presunti esecutori materiali del delitto, il boss del mandamento di Porta Nuova Francesco Arcuri, i presunti mafiosi del Borgo Vecchio Antonino Abate e Salvatore Ingrassia e Antonio Siragusa che avrebbero pianificato e organizzato il raid.
Secondo la ricostruzione della Procura - l’inchiesta è stata coordinata dal procuratore Francesco Lo Voi e dai pm Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco - dietro all’aggressione ci sarebbe stata Cosa nostra. Il raid doveva essere finalizzato a dare un segnale a tutti gli avvocati palermitani. Cosa nostra avrebbe punito, con un’azione eclatante che doveva essere monito per tutti i legali, i tentativi di Fragalà di indurre alcuni suoi assistiti a collaborare alle indagini.
Questa mattina Cappello, guardando le immagini delle telecamere che lo ritraggono mentre passeggia in piazza Vittorio Emanuele, ha ricostruito cosa ha visto, nella zona del palazzo di giustizia, a pochi passi dallo studio Fragalà. “Sono sceso intorno alle 20.30, intorno alle 20.35 ero all’altezza del bar Sanremo, poi ho girato andando verso via Turrisi. Ho visto l’aggressione: un uomo alto e robusto colpiva con un bastone di legno lucido un altro uomo. Non c’erano grida, né parole. Mi sono avvicinato e sono arrivato a pochi metri dall’agguato, tanto che l’aggressore mi ha fatto un gesto con la mano come a dire ‘che vuoi?’. Quando l’uomo alto è fuggito a bordo di un motorino ha sgommato all’altezza della curva e ho sentito cadere il bastone. Tre rimbalzi e poi di nuovo silenzio”.
Secondo i ricordi di Cappello, l’uomo indossava un bomber e scarpe nere, che dovevano avere la suola di gomma, perché quando scappò non si sentì niente. Poi arrivarono diverse altre persone. Ci fu uno che gli chiese: “Enzo, sei tu?”. Cappello chiese: “Ha bisogno di qualcosa?”. “Sì, devo andare in bagno”. Ma poi si accasciò”.
Questo racconto cozza con la ricostruzione del pentito Francesco Chiarello che dice di aver saputo che all’aggressione parteciparono due persone.
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