PALERMO. «E mi disse: “Statti zitto, ca cumminò un casino, chiddi i ddà supra sunnu incazzati cu iddu... avia essere una passata i colpi i ligna e l’ammazzò”». Eccolo, Salvatore Bonomolo, detto Salvino, 52 anni compiuti da poco: dice la sua sull’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà, un caso che da intricato si sta trasformando in una sorta di guerra tra pentiti e dichiaranti. Come anticipato ieri dal Giornale di Sicilia, il 23 febbraio 2010, la sera dell’aggressione a bastonate al penalista (morto tre giorni più tardi, a causa delle ferite), Bonomolo non c’era: però sa - o saprebbe - per avere appreso tutto in carcere, da Giuseppe Auteri, mafioso di Porta Nuova e suo vecchio amico («Gestivamo assieme le macchinette, con Giuseppe u Terremoto»), preoccupato perché aveva «curato» la vittima designata, avrebbe cioè studiato i movimenti del penalista assieme a Francesco Arcuri, uno dei sei imputati del processo, che inizierà il 17 luglio. Proprio con «iddu», cioè Arcuri, secondo ciò che Auteri avrebbe riferito a Bonomolo, si sarebbero infuriati «chiddi i ddà supra», i boss di Pagliarelli del clan di Nino Rotolo. Il delitto viene definito «un favore» fatto loro dal mandamento di Porta Nuova. Rotolo - ma questo Bonomolo, che del movente sa ben poco, non lo dice - se la sarebbe presa perché l’avvocato, pochi giorni prima dell’aggressione, aveva letto in aula, in tribunale, una lettera della moglie del boss, che si scusava con un prestanome.