PALERMO. I vigili del fuoco del Saf, il nucleo Speleo Alpino Fluviale, parteciperanno alle operazioni di recupero dei resti umani, probabilmente appartenenti a sei persone, trovato dai carabinieri in una grotta naturale nelle campagne di Roccamena, nel palermitano.
La zona è molto impervia ed è stato necessario il coinvolgimento del nucleo speciale dei vigili del fuoco. Sarà poi l'esame del dna a dare un nome ai corpi, sospette vittime della lupara bianca di Cosa nostra.
La zona è feudo dei corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano. E il sospetto che si tratti di un ossario di vittime di mafia è inevitabile. A cercare di risolvere il giallo, a una settimana dal blitz che ha decapitato i nuovi vertici mafiosi di Corleone, è la Procura di Palermo. L'indagine è coordinata dal procuratore Francesco Lo Voi e dall'aggiunto Leonardo Agueci.
I pm titolari del fascicolo sono Sergio De Montis e Siro De Flammineis, che per tutto il giorno hanno assistito alle operazioni di recupero dei resti. Il luogo del ritrovamento è isolato e molto impervio e riportare in superficie le ossa e i teschi non sarà semplice. L'area è stata transennata ed è presidiata dai carabinieri del Gruppo Monreale che conducono l'indagine.
Del recupero si occupano i vigili del fuoco, mentre saranno i militari del Ris a tentare di risalire all'identità dei resti attraverso la comparazione del dna con quello di persone scomparse in un periodo compatibile. Vittime di lupara bianca mai più ritrovate.
Come Giuseppe Branda, di Roccamena, di cui si sono perse le tracce nel 1981. La sua morte presunta è stata dichiarata nel 1990. Branda, che lavorava alla costruzione della diga Garcia, era sospettato di far parte di una banda di ladri di bestiame. Venne fermato mentre era in auto con un altro operaio e sequestrato da un gruppo di persone, racconta il testimone oculare, vestite da carabinieri.
Ma di lui non si sono più avute notizie. A dare agli investigatori l'input che ha portato alla scoperta della grotta, impossibile da individuare senza una segnalazione precisa, sarebbe stata una fonte confidenziale, ma in Procura sulla genesi dell'indagine c'è il massimo riserbo. Dietro al ritrovamento, comunque, non ci sarebbe un collaboratore di giustizia. Sembra dunque escluso il coinvolgimento del neopentito Nino Pipitone, mafioso di Carini, che non avrebbe alcun ruolo nella scoperta.
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