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Giallo sull'omicidio di Lia Pipitone, dopo 30 anni un nuovo processo

PALERMO. La morte di Lia Pipitone, figlia del boss dell’Arenella, Antonino, è stata per molti anni (oltre 30) un mistero. Adesso, a cinque anni dalla morte del mafioso, il pubblico ministero Francesco Del Bene ha chiesto di fare un processo ai capimafia detenuti Antonino Madonia e Vincenzo Galatolo, i reggenti del mandamento di Resuttana e della famiglia dell'Acquasanta, sarebbero stati loro a ordinare la morte di Lia Pipitone, dopo che il padre si era sentito "disonorato" dalla figlia.
A queste conclusioni, la Procura è arrivata anche sulla scorta delle dichiarazioni del pentito Francesco Di Carlo, depositate questa mattina nell’udienza preliminare nella quale si sono costituiti parte civile il marito e il figlio di Lia Pipitone, Gero e Alessio Cordaro, con l’assistenza dell’avvocato Nino Caleca. Parte civile anche la Millecolori onlus, rappresentata dall’avvocato Roberto Riggio, dello studio legale Lauricella.
Lia Pipitone viene uccisa il 23 settembre 1983, nel corso di una rapina in farmacia che sarebbe stata inscenata unicamente come pretesto. Lia entrò in una sanitaria per fare una telefonata dal telefono a gettoni. Appena riagganciò la cornetta, entrarono due banditi a volto coperto che ordinarono al titolare di consegnare l’incasso della giornata. Dopo aver ottenuto il bottino, uno di loro le sparò alle gambe, prima di far partire altri quattro colpi che la uccisero.
“Rosalia Pipitone - ha raccontato Di Carlo ai pm - ha cominciato a lavorare preso una cooperativa dei Salvo e ha conosciuto diversi giovani con i quali si frequentava, generando le dure critiche del padre che aveva una mentalità molto all’antica. Ci tengo a precisare che Rosalia era nata per la libertà ed è morta per la libertà”.
Di Carlo, quando seppe dell’omicidio a seguito di rapina, chiese lumi a Alessandro Sanvincenzo “che mi fece comprendere - ha proseguito il collaboratore - che la situazione non era quella descritta dalla stampa ma era molto ingarbugliata. Successivamente ho approfondito la questione con mio fratello Andrea, all’epoca responsabile della famiglia mafiosa di Altofonte. Mio fratello mi ha riferito che il padre di Lia, dinanzi alla residenza della figlia a cessare una relazione extraconiugale con un altro ragazzo, aveva deciso la punizione della donna perché il capo mandamento non voleva essere criticato per questa situazione incresciosa”.
“In quel periodo - ha aggiunto - il capo mandamento di Resuttana da cui dipendeva l’Acquassanta era Ciccio Madonia che  però non prendeva decisioni in quanto malato o detenuto. Il comando era a Nino Madonia, il quale ha convocato Antonino Pipitone  dicendogli che aveva preso la decisione di eliminare la figlia, circostanza a cui Pipitone non si è sottratto nel rispetto della mentalità di Cosa nostra. Sempre secondo le regole mafiose, Madonia ha convocato Galatolo per assegnargli l’esecuzione materiale dell’omicidio”.  L'udienza è stata rinviata al 27 ottobre.

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