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Ricercatrice libica indagata, a Palermo si allarga l’inchiesta

Prelevati pc, telefoni, pen drive e materiale informatico per verificare se la donna supportasse atti terroristici. Legami con foreign fighters, il Belgio non collabora

PALERMO. Ora si indaga pure sui contatti di Khadiga Shabbi, la ricercatrice universitaria libica che la Procura di Palermo voleva arrestare, ma che ha avuto dal giudice solo l’obbligo di dimora nel capoluogo.

Mentre il tribunale del riesame stabilisce che il 15 gennaio sarà discusso l’appello dei pm Gery Ferrara e Emanuele Ravaglioli contro la decisione negativa del Gip, l’inchiesta della Digos va avanti: perquisizioni e sequestri sono stati eseguiti dai poliziotti nei confronti di un cittadino tunisino (vicino di casa della Shabbi, all’Albergheria), di un marocchino, due libici e di una borsista palestinese, anche lei impegnata in un periodo di studio e lavoro all’Università.

Il Gip stavolta li ha convalidati e il materiale raccolto, già in parte utilizzato nell’inchiesta, servirà contro la Shabbi, finora unica indagata per reati collegati all’apologia di reato con l’aggravante dell’istigazione a commettere atti di terrorismo. Perché proprio questo è il punto, che emerge dopo le convalide dei sequestri di computer, telefonini, pen drive e altro materiale informatico, effettuati a casa degli amici della ricercatrice universitaria, ma ritenuti di pertinenza della donna, che ha una borsa di studio nella facoltà di Economia.

I contatti, con scambi di idee, opinioni e informazioni, spesso provenienti dalla Shabbi (che avrebbe avuto fonti molto attendibili e capaci di anticipare, in agosto, i media ufficiali, ad esempio su un bombardamento a Sirte da parte di aerei senza pilota) risultano dagli intrecci di conversazioni telefoniche e via chat, dai post condivisi su Facebook e su altri social network.

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