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Agueci: «Dove c’è l’azione corale dello Stato le vittime trovano più forza per reagire»

Secondo il procuratore aggiunto «il fenomeno è in regressione e le denunce spontanee sono in lieve crescita, ma restano sempre poche»

L’imposizione del pizzo è ancora fortemente diffusa e ignora i confini geografici, ma il procuratore aggiunto Leonardo Agueci - che è tornato a dirigere una parte della Dda, dopo aver guidato l’ufficio nella transizione tra Francesco Messineo e Francesco Lo Voi - non ha dubbi: «Il fenomeno è in regressione, ma serve ancora l’impegno di tutti». Le denunce sono in lieve aumento e i giovani rifiuterebbero più facilmente di pagare: «Dove vengono compiuti blitz antimafia - dice il pm - la collaborazione è maggiore». Per incentivare la svolta «è fondamentale l’azione di tutte le istituzioni e la solidarietà spontanea e concreta da parte dell’ambiente che circonda chi decide di ribellarsi al racket».
Tracciamo un quadro generale: qual è la funzione effettiva del pizzo oggi?
«La funzione tradizionale, nel periodo di massima forza di Cosa nostra, è stata quella che ha permesso alla mafia di imporre un tributo per esercitare il suo dominio sul territorio. Un atto parassitario che non prevedeva alcun servizio in cambio del pagamento. Man mano che si sono sviluppati l’attività investigativa e il contrasto al racket questa funzione si è attenuata: ora è spesso un dazio per la fornitura di servizi, che permette alla mafia di svolgere un’attività sostitutiva che spetterebbe allo Stato, come per esempio l’illecita fornitura di utenze. C’è poi il racket della presunta solidarietà, quando Cosa nostra chiede cioè un sostegno per aiutare i suoi affiliati detenuti».

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