PALERMO. «L’azione repressiva delle forze dell’ordine e il costante impegno delle associazioni antiracket e di categoria stanno indebolendo il fenomeno del pizzo in città. Bisogna continuare su questa strada, convincere gli imprenditori che la denuncia è l’unico modo per liberarsi di questa zavorra mafiosa». Lo afferma Mario Attinasi, presidente della Confesercenti palermitana, che evidenzia l’importante ruolo che sta svolgendo il fronte unico dell’associazionismo nella lotta contro il pizzo, all’indomani della polemica innescata da Confindustria Palermo, che riguarda una ventina di commercianti del «salotto buono» della città. «I nostri iscritti sanno bene che l’associazione rappresenta uno scudo di protezione agli attacchi della manovalanza del racket - dice Attinasi -. E la mia percezione è che le aziende lo abbiano capito e stiano reagendo. La Confesercenti è parte civile nei processi contro gli estorsori e ha messo a disposizione tutta la struttura per aiutare i commercianti a denunciare».
Quanto incide il pizzo nell’economia del tessuto imprenditoriale?
«Nel 2013, da uno studio di Confesercenti, in Sicilia erano circa 50 mila gli imprenditori costretti a pagare il pizzo, quasi un terzo dei 160 mila taglieggiati dell’intero Paese. Le statistiche dicono che i costi della protezione del boss variano da un minimo di 250 euro al mese a un massimo di mille euro per le attività commerciali che hanno sede nelle vie del centro. Il 50 per cento dei commercianti è vittima del racket. Da tenere sotto osservazione anche il fenomeno dell’usura, infatti quasi 30 mila persone in Sicilia si sono rivolte agli usurai, un dato che dimostra la grave crisi economica che ha colpito la piccola e media impresa dell’Isola».
Ma lei pensa che ci siano zone della città dove il pizzo è più presente?
«Il grado di penetrazione del fenomeno è imprevedibile. Forse le sacche maggiori le troviamo nei quartieri dove persiste una mentalità arretrata, legata a questa forma criminale, all’intimidazione che arriva puntuale se non ti pieghi al pizzo».
E quando Confindustria dice che ciò accade anche nei negozi del centro?
«Non riesco a dare un giudizio dai pochi elementi in mio possesso, e poi, in base a quanto leggo, ci sarebbe un’indagine in corso. Mi auguro che non sia così, perché la maggior parte delle imprese dell’asse commerciale in centro è iscritta alle associazioni e avrebbe tutto da perdere a non ribellarsi al pizzo, ad essere reticenti. Se dovesse risultare quanto affermato da Confindustria, questi imprenditori dovrebbero collaborare».
Cosa le fa pensare che il fenomeno del pizzo abbia avuto un indebolimento?
«Intanto si è squarciato il muro di totale omertà, e lo stiamo vedendo con i successi, anche in provincia, delle forze dell’ordine. C’è una maggiore propensione alla denuncia e, per quello che si legge, la mafia sta orientando il suo business in altri settori, visto che la protezione verso i commercianti si è innalzata. Consideriamo pure che la crisi economica ha eroso gran parte dei guadagni degli imprenditori, portandoli a dire basta a questa odiosa imposizione».
Cosa ci attende nel futuro?
«Sicuramente la crescita di una maggiore coscienza che la mafia, in tutte le sue manifestazioni, va combattuta senza sosta. E poi ci sono i giovani, con le loro idee imprenditoriali, con la loro voglia di combattere e farsi strada onestamente».
Scopri di più nell’edizione digitale
Per leggere tutto acquista il quotidiano o scarica la versione digitale.
Caricamento commenti
Commenta la notizia