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Mafia di Misilmeri, archiviate le accuse a D’Aì

Restano in piedi solo le ipotesi su reati amministrativi. «È il più bel regalo di Natale che potessi ricevere. Viene riconosciuta la correttezza della mia azione politica»

PALERMO.  La «gestione della cosa pubblica in talune occasioni» era «francamente illecita», però, scrive il Gip Luigi Petrucci, non sono emersi «delitti collegati al sodalizio mafioso». In altre parole, l’inchiesta per concorso in associazione mafiosa a carico dell’ex sindaco di Misilmeri, Pietro D’Aì, del Pid, viene archiviata, su richiesta della stessa Procura.

Dalla stessa accusa vengono scagionati, in un filone di inchiesta parallelo, i dirigenti e amministratori del Coinres, Raffaele Loddo, Riccardo Incagnone, Pasquale Roberto Li Causi, Salvatore Badami, Franco Abbate e Vitale Gattuso. Gli addebiti sono privi della connotazione che porta a Cosa nostra e per questo non è più competente la Direzione distrettuale antimafia (e dunque il tribunale di Palermo) ma il tribunale di Termini Imerese, al quale sono stati trasmessi gli atti per la verifica delle accuse residue, i presunti falsi, le turbative d’asta e gli abusi d’ufficio che sarebbero stati commessi con riferimento all’amministrazione del Comune di Misilmeri — per quel che riguarda l’ex sindaco — e per le «assunzioni illecite o illegittime», come le definisce il giudice Petrucci, al consorzio che gestisce la raccolta dei rifiuti in ventidue Comuni della provincia, nei confronti degli altri indagati.
L’indagine aveva portato allo scioglimento per mafia del Comune di Misilmeri: le infiltrazioni sarebbero state provocate dal boss del paese, Francesco Lo Gerfo, che in luglio è stato condannato a 18 anni di carcere, mentre sette anni, per concorso esterno, erano stati dati a Vincenzo Ganci, operaio Gesip ed ex consigliere della circoscrizione Oreto, di area Pid e candidato alle amministrative del 2012, in città, con la lista «Amo Palermo».

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