PALERMO. Sarebbe stato strangolato e sciolto nell'acido. Il giallo sulla sparizione con il metodo della lupara bianca di Andrea Cottone avvenuta a Villabate, nel 2002 era stato risolto dopo quasi dodici anni. I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo, al termine di dell’indagine coordinata dalla locale Procura della Repubblica - Direzione Distrettuale Antimafia (con ii procuratori aggiunti Leonardo Agueci e Vittorio Teresi e i Sostituti Procuratori Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli), hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dall’Ufficio Gip del Tribunale di Palermo, Nicola Aiello, nei confronti di Giuseppe Comparetto, 38 anni.
Anche lui, secondo le indagini dei militari avrebbe fatto parte del commando composto anche da Ignazio Fontana, di 41 anni, Onofrio Morreale, di 48, e Michele Rubino, di 54, finiti in carcere lo scorso marzo.
Comparetto è detenuto dal 5 giugno scorso, nell’ambito dell’operazione “Reset”, poiché ritenuto il reggente della famiglia mafiosa di Ficarazzi. Andrea Cottone era un imprenditore sequestrato e ucciso nel novembre del 2002 senza che il cadavere venisse più ritrovato. I carabinieri sono riusciti a fare luce sull'omicidio grazie alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia come Mario Cusimano, Stefano Lo Verso e Sergio Flamia.
Andrea Cottone il 6 settembre del 1995 era stato arrestato per associazione mafiosa perché ritenuto «capodecina» della «famiglia» di Villabate. Nel 1999, dopo la sua scarcerazione, aveva continuato ad essere vicino alla cosca dei Montalto, reggenti della famiglia mafiosa di Villabate. Già in quel periodo sarebbe stata chiesta l'autorizzazione a uccidere Cottone; secondo gli investigatori, Biagio Picciurro e Salvatore Pitarresi (alla guida di una cosca rivale) avrebbero ottenuto il via libera da Bernardo Provenzano solo dopo l'arresto dei Montalto.
Sono stati tre collaboratori di giustizia a ricostruire le ultime ore di vita dell'imprenditore di Villabate. Il 13 novembre del 2002 l'imprenditore venne accompagnato a bordo della propria auto al ristorante minigolf di Ficarazzi, apparentemente per discutere con Onofrio Morreale su alcuni furti ai danni dello stesso Cottone. Da quel giorno si persero le sue tracce.
La moglie presentò denuncia di scomparsa. Due settimane dopo l'autovettura dell'imprenditore fu trovata a Termini Imerese regolarmente parcheggiata. Secondo il racconto dei pentiti ad attendere Cottone al minigolf, c'erano le tre persone destinatarie dell'ordinanza di custodia cautelare notificata oggi. Il commando avrebbe dovuto eliminare anche la persona che aveva accompagnato l'imprenditore. Ma l'uomo si salvò perché il killer si accorse che in quel momento c'era un testimone.
Per Cottone, invece, non ci fu scampo: venne strangolato con una cintura e il suo corpo fu sciolto nell'acido in un deposito di marmi di Bagheria. Lo stesso pomeriggio nel mare di Aspra vennero buttati in mare anche alcuni oggetti che appartenevano a Cottone. Il commando prima di ucciderlo avrebbe dovuto interrogarlo per sapere se il clan Montalto aveva intenzione di dichiarare guerra alla cosca rivale capeggiata da Nicola Mandalà. A distanza di qualche anno dall'omicidio lo stesso Onofrio Morreale avrebbe confidato in dialetto: «Siamo stati noi a soffocarlo...».
I pentiti Mario Cusimano, Stefano Lo Verso, Francesco Campanella e Sergio Flamia hanno raccontato che nel giorno dell'omicidio addosso a Cottone erano stati trovati 4000 mila euro in contanti e un assegno da 7 mila euro. Parte dei soldi vennero usati per acquistare vestiti per 2 mila euro nel negozio "Giglio In". Stefano Lo Verso e Andrea Cottone si erano incontrati la prima volta tra maggio e giugno del 2002. L'imprenditore si era rivolto al pentito per chiedere aiuto per recuperare un cavallo che era stato rubato ad un suo amico a Villabate.
Sia Lo Verso che Cottone in quel periodo erano stati vittime di furti. Per cercare di capire cosa stesse succedendo si incontrarono con Onofrio Morreale, proprio nel minigolf di Ficarazzi, dove successivamente i carabinieri trovarono un cimitero di mafia. All'agguato era casualmente presente Rosario Rammacca, operaio del Coinres, che era nella zona del minigolf per rintracciare il gestore dell'impianto.
Secondo quanto racconta il pentito Lo Verso anche lui doveva essere ucciso. Solo che la presenza dell'operaio Coinres, testimone involontario, fece cambiare i programmi. A portare via il cadavere dell'imprenditore sarebbe stato, secondo il pentito Cusumano, il boss Nicola Mandalà che ripulì il corpo e lo caricò sul furgone per poi scioglierlo nell'acido in una fabbrica di marmi a Bagheria.
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