PALERMO. La prima cosa che ha tenuto a dire è stata che non è un pentito né ha niente di cui pentirsi. Che rinnega la mafia e che dice di esserne una vittima. Però Vito Roberto Palazzolo, nonostante l’esordio non proprio incoraggiante, ha comunque parlato. Ha avviato un dialogo con i pm di Palermo quando era ancora in Thailandia, nei ventuno mesi di detenzione a Bangkok, un periodo che non dimenticherà mai. Ha proseguito al ritorno in Italia, avvenuto nel dicembre scorso. Nel giro di sei mesi gli è stato revocato il regime del carcere duro, il cosiddetto 41 bis. E ora Palazzolo, nato a Terrasini ma per oltre 25 anni abitante e residente in Sudafrica, Paese del quale ha acquisito la cittadinanza, è un «dichiarante» che comincerà a parlare nei prossimi giorni davanti ai giudici della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, presieduta da Silvana Saguto.
È Francesco Nania, il personaggio su cui il pm Dario Scaletta, senza depositare i verbali (cosa non prevista tassativamente, in questi procedimenti), ha preannunciato che Palazzolo potrà rendere le prime dichiarazioni: Nania, 45 anni, figlio di Antonino e nipote di Filippo, entrambi mafiosi di Partinico, è sottoposto a un procedimento il cui fine ultimo è la confisca del suo patrimonio. L’ex finanziere, che sta scontando una condanna a nove anni, è originario di un paese vicino e può rendere dichiarazioni «di contesto» e specifiche, dato che, anche nel corso della sua latitanza dorata a Capetown, nel 1996 ospitò due mafiosi latitanti, originari proprio di Partinico, Giovanni Bonomo e Giuseppe Gelardi: un’ospitalità scoperta grazie a un’intercettazione telefonica e che costò carissima a Palazzolo. Secondo i giudici l’episodio sarebbe stato infatti sintomatico della sua continuità nell’appoggio a Cosa nostra, datato dal 1992 al 2001.
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