È una Sicilia del primo Dopoguerra arcana e intrigante quella narrata dal regista palermitano Giuseppe Carleo nel suo lungometraggio d’esordio La bocca dell’anima, accolto calorosamente al settantesimo Taormina Film Festival e da oggi in programmazione a Palermo al Cityplex Tiffany di viale Piemonte. All’anteprima nazionale di martedì - che ha registrato il tutto esaurito nelle sale 3 e 4 - un’atmosfera carica di entusiasmo e commozione ha preceduto la proiezione della pellicola, mantenendosi vibrante fino allo scorrere dei titoli di coda: magia del grande schermo, ma soprattutto conferma di una vitalità artistica e sintonia collettiva profuse dal cast e dalla troupe di uno dei titoli più originali offerti dalla corrente stagione cinematografica.
«Abbiamo affrontato non poche difficoltà a livello organizzativo e produttivo - ha dichiarato Carleo dopo l’introduzione curata dal direttore artistico dell’Efebo d’Oro Alessandro Rais -, ma siamo riusciti a portare a termine questo progetto molto sentito e partecipato, fondando anche una nostra casa di produzione - Favorita Film - per dimostrare le grandi potenzialità e le infinite risorse della nostra terra, fucina di talenti volenterosi e instancabili».
Spirito di sacrificio e impegno che rifulgono nell’elaborata costruzione di ogni singola inquadratura (fotografia di Leone Orfeo, scenografie di Laura Inglese, costumi di Dora Argento e montaggio di Riccardo Cannella), nelle suggestioni metafisiche dell’impianto narrativo (sceneggiatura firmata dal regista con Carlo Cannella, ricca di fonti e spunti folcloristici e antropologici) e nell’eccellente direzione drammaturgica.
Lo sguardo magnetico di Maziar Firouzi (Giovanni, reduce di guerra investito da un potere al di là di ogni comprensione), la gestualità di Serena Barone (Mariannina, custode di antichi saperi), la delicata bellezza di Marilù Pipitone (Angela, promessa sposa di Giovanni) e l’eterea presenza di Vincenzo Amato (Eric Marchese, ufficiale di marina) rimangono impressi nella memoria degli spettatori così come l’ultima grande interpretazione di Maurizio Bologna - scomparso lo scorso venerdì e ricordato in sala con un lungo e commosso applauso - qui nelle vesti talari di don Pino, che dal pulpito della chiesa di Petrasanta (richiamo alle location di Petralia Soprana e Sottana, che hanno regalato all’opera scenari innevati di rara bellezza, alternati alle escursioni in luoghi altrettanti suggestivi come le Grotte della Gurfa di Alia e il mare din Terrasini) ammonisce i fedeli a non cadere nelle tentazioni pagane e ritrovare la fede smarrita. Tra scatti fotografici, brindisi, strette di mano e abbracci che hanno animato il proseguimento della serata si legge sui volti della grande famiglia di celluloide (Carleo, Firouzi, Barone, Pipitone, maestranze e comparse) soddisfazione e gratitudine per un’opera prima che infonde speranza e ottimismo nel panorama odierno del settore cinematografico, oltre alla fiducia posta verso una nuova generazione di artisti pronta a stupire ed emozionare il pubblico con storie che riflettono la nostra più intima essenza tra paure, desideri e meraviglie che prendono forma e vita nel buio della sala.
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